LETTERA DA BRUXELLES Quanto costa la ‘non-Europa’, 800 miliardi di cui l’Europa ha bisogno

  L’Europa è costosa o costa di più la ‘non-Europa’? O l’Europa a metà, in perenne dondolio tra una confederazione di Stati sovrani e il sogno federativo? Questi sono interrogativi cruciali dato che a maggio si voterà per il Parlamento europeo e già ci sono varie indicazioni su quanto consenso potrebbero ottenere le forze che mettono in discussione le fondamenta della costruzione europea arrivando al rifiuto della moneta unica (tutt’altra cosa sono le posizioni critiche, anche radicalmente critiche, sulla qualità delle politiche europee e in particolare sulla gestione della grande crisi del debito sovrano). E’ sempre difficile fare i conti, ma ci ha provato il Parlamento europeo pubblicando una “mappa” molto speciale che misura i costi della non-Europa, cioè del mancato “guadagno” se non si attuassero tutte le politiche Ue. Tali costi ammonterebbero a più o meno 800 miliardi di euro nel periodo 2014-2019, pari all’80% dell’attuale bilancio Ue 2014-2020. Sarebbe un moltiplicatore rilevante per aggiungere ricchezza al prodotto annuale europeo, data la debolezza e la fragilità della ripresa.



  Il costo della ‘non-Europa’ è un concetto non nuovo: risale all’inizio degli anni Ottanta, quando il francese Michel Albert (per anni presidente delle Assurances Générales de France e autore del noto e fortunatissimo libro ‘Capitalismo contro capitalismo’) e l’inglese James Ball scrissero per il Parlamento europeo il rapporto ‘Per una ripresa dell’economia europea negli anni ottanta’ con il quale cercavano di identificare le leve per uscire dalla crisi e dall’atmosfera di profondo pessimismo sul futuro di allora (clima non molto diverso da quello attuale). Poi se ne parlò ampiamente nel Rapporto Cecchini del 1988, che fornì il quadro di riferimento per il programma di completamento del mercato unico alla fine del 1992 con una stima del guadagno per il pil europeo fra il 4,5% e il 6,5%. Da allora se n’è parlato sempre meno, man mano che l’Europa si approfondiva e si allargava la discussione pubblica è stata centrata più sui costi dell’Europa che sull’opposto (dalle posizioni britanniche che possono essere sintetizzate nel motto ‘allargare per diluire’ alle campagne anti-euro di oggi). Prima di passare alle cifre una premessa: certamente le stime non vanno prese per oro colato, ma come un’indicazione approssimata per il semplice fatto che si può facilitare al massimo un mercato sicuro degli acquisti via internet, ma se i consumatori non hanno soldi da spendere e le piccole imprese non hanno accesso al mercato dei capitali le previsioni restano un sogno. Detto questo la differenza la farà l’incremento della produttività del sistema economico nel suo complesso, che costituisce una fonte fondamentale di crescita.
  Nella ‘mappa’ del Parlamento viene presentato il meglio degli studi disponibili con una rielaborazione relativa a una ventina di settori ai quali corrispondono specifiche politiche Ue. In dettaglio, il guadagno potenziale di efficienza di un mercato unico digitale (eliminazione delle barriere nazionali alle transazioni commerciali e finanziarie) sarebbe di 260 miliardi di euro all’anno, che può essere paragonato al valore del pil danese. Secondo l’ultimo rapporto del Conference Board (Unlocking the Ict Growth Potential in Europe) l’effetto leva sul prodotto di un mercato digitale e delle telecomunicazioni integrato può essere la maggiore risorsa per la crescita dell’economia europea aggiungendo mezzo punto percentuale di pil all’anno. Attualmente le fatture elettroniche sono il 5% del totale: generalizzarle comporterebbe un beneficio di 40 miliardi di euro all’anno. Il guadagno in termini efficienza dell’ulteriore riduzione delle barriere a consumatori e cittadini  (gare d’appalto aperte, libera circolazione di merci e servizi) viene calcolato in 235 miliardi.
  L’unione bancaria “vale” 35 miliardi l’anno tenendo conto della ridotta probabilità del ricorso a salvataggi pubblici e delle necessità inferiori di aumentare il capitale una volta raggiunta la situazione di normalità. Il completamento dell’integrazione del mercati finanziari, che dovrebbe spingere alla convergenza e alla riduzione dei prezzi (con un risparmio dei tassi sui mutui calcolato in 63 miliardi all’anno), potrebbe comportare un guadagno di efficienza di 60 miliardi l’anno, tanto quanto il debito della Catalogna e il valore del bilancio del Land tedesco Nord Reno Vestfalia. Uno schema unico europeo di assicurazione dei depositi nell’Eurozona (attualmente ogni paese ha il proprio sulla base di regole comuni) darebbe un beneficio di 13 miliardi all’anno per Grecia, Irlanda e Spagna, si sale a 30 miliardi se fossero inclusi Portogallo, Italia, Cipro, Slovenia.
  Quindici miliardi varrebbe un’assicurazione minima contro la disoccupazione nell’Eurozona, che stabilizzerebbe gli effetti della crisi economica sul reddito disponibili con effetti positivi sui consumi privati. Secondo uno studio dell’istituto tedesco Diw, uno schema europeo di assicurazione contro la disoccupazione avrebbe ridotto sensibilmente le fluttuazioni dell’economia in alcuni paesi colpiti dalla crisi: in Spagna avrebbe mitigato la caduta dell’economia di un quarto riducendo il costo della crisi di circa 11 miliardi. In Grecia e Irlanda l’impatto negativo sull’economia sarebbe stato ridotto di 2,3 miliardi e 1,6 miliardi rispettivamente. Il coordinamento più stretto delle politiche di bilancio potrebbe produrre guadagni di efficienza per 31 miliardi l’anno, che deriverebbero dalla riduzione degli effetti di contagio finanziario che nel 2011 era stato calcolato dal Fondo monetario internazionale fino a un quarto di punto percentuale del pil. La cooperazione europea nell’area della sicurezza e della difesa (che implica un forte recupero di efficienza nel settore industriale ) vale 26 miliardi l’anno poiché gli Stati potrebbero spendere meno rispetto a quanto prevedono sommando i diversi bilanci nazionali di 190 miliardi di euro (elemento importante nel momento in cui con la crisi Ovest-Russia si stringono i margini per riduzioni dei bilanci militari).
  L’accordo commerciale con gli Stati Uniti per creare una zona di libero scambio vale 60 miliardi l’anno (secondo la Commissione un guadagno reale di 545 euro per ogni famiglia). Cinquanta miliardi potrebbero arrivare dall’integrazione del mercato dell’energia grazie allo sviluppo della rete e delle interconnessioni, dagli scambi di energia tra paesi, dall’”accoppiamento” dei mercati che aumenta l’efficienza dell’uso delle capacità, dalla cooperazione per le operazioni di riequilibrio dell’uso delle capacità. Infine guadagni possono essere estratti dalla parificazione delle retribuzioni tra uomini e donne (13 miliardi anche grazie a cambiamenti nelle dinamiche demografiche), dal contrasto dell’evasione fiscale (7 miliardi), dal contrasto della violenza nei confronti delle donne (altri 7 miliardi in termini di prestazioni sanitarie, legali e di perdita di prodotto), da sistemi efficienti di coinvolgimento dei lavoratori nelle scelte aziendali (3 miliardi in termini di riduzioni dei conflitti di lavoro), dalla rimozione delle barriere alla concorrenza e dalla cooperazione per la sicurezza nel trasporto aereo (2,5 miliardi), dalla collaborazione nella ricerca (1 miliardo), dal coordinamento degli aiuti allo sviluppo (800 milioni), da una legge europea per il trasferimento delle sedi delle imprese (200 milioni).
  Queste sono le stime. Ci si può credere o no, naturalmente. Ma forse val la pena di provare.