Si ritorna (per ora) al G7, finisce l’era della fiducia e della partnership con la Russia

  Con la decisione di oggi del G7 va in pezzi un sistema di cooperazione e confronto internazionale che era passato indenne dalla fine della guerra fredda e, anzi, proprio grazie alla caduta dell’Urss aveva trovato la via per rigenerarsi, secondo i critici  ad adattarsi, alla nuova situazione puntando alla piena integrazione della Russia nel quadro delle decisioni mondiali. Non si dice che il G8 è finito, naturalmente. Non conviene a nessuno. Ma, come indicava un diplomatico europeo nel pomeriggio, “se il G8 non fa più riunioni e al suo posto c’è una riunione del G7 che cosa ne dobbiamo far derivare, forse che il G8 esiste ancora?”. Non decretare la fine del G8 è utile per non chiudere le porte ed è ovvio che sia così. In ogni caso adesso la Russia è stata messa con le spalle al muro. Certamente è finita l’era della “partnership” e della sicurezza che la minaccia non arriva più da Est.

 

Tre sono state le fasi della storia del G7, nato nel castello di Rambouillet nel 1975 nella famosa riunione di fronte al caminetto indetta dal presidente francese Valery Giscard d’Estaing alla quale parteciparono Gerald Ford (Usa), Harold Wilson (Regno Unito), Aldo Moro (Italia), Tazkeo Miki (Giappone), Helmut Schmidt (Germania). La prima fase va dal 1975-76 al 1985-87: si assiste a un rafforzamento delle organizzazioni internazionali con l’obiettivo di affrontare la crisi petrolifera coordinando le strategie economiche.  Nel pieno degli anni Ottanta c’era il sistema dei cambi da gestire: erano i tempi dell’accordo del 1985 per contrastare l’apprezzamento del dollaro attraverso interventi coordinati sul mercato dei cambi, un ciclo durato fino all’inizio del 1987 quando i ministri finanziari e i banchieri centrali concordarono di  coordinare le politiche macroeconomiche per stabilizzare i mercati valutari e arrestare il deprezzamento del dollaro.

  La seconda fase è centrata sugli effetti della fine della guerra fredda: la prima partecipazione russa dopo la riunione dal G7 è a Londra con Gorbaciov nel 1991 (di lì a qualche mese il leader sovietico si dimise), poi toccò a Eltsin. Nel 1994 viene costituito il P8: dopo le discussioni sull’economia mondiale si apriva la riunione “politica”, appunto. La Russia continuò a partecipare e così per forza propria nasce il G8, con la Russia dal 1998 a pieno titolo. All’inizio il collante era il sostegno alle riforme economiche all’Est e in Russia, poi l’idea di una ‘partnership’ per gestire gli affari globali dove interessi geopolitici ed economici si stringono in una maglia inestricabile. Parallelamente ha sempre funzionato il livello finanziario del G7 con i ministri dell’economia i banchieri centrali in formato a sette quando si discute di economia, finanza, valute, aperto successivamente al collega russo.

  La terza fase scatta nel 2008 quando in seguito alla Grande Crisi finanziaria ed economica a Washington si riuniscono i capi di stato e di governo del G20. Fino ad allora il G20 era un club per ministri dell’economia e banchieri centrali. Nel settembre 2009 la decisione di fare del G20 il principale ‘consiglio’ economico globale delle nazioni più industrializzate e di quelle “emerse” (Cina, India, Brasile, Arabia Saudita) ed emergenti. In un certo senso ha buon gioco il ministro degli esteri russo Lavrov nel riferirsi proprio al G20 per sminuire l’importanza del G7 dal quale di fatto oggi la Russia viene sospesa. Infatti ,è in ambito G20 che si è spostato il confronto sulla regolazione finanziaria, sul contrasto ai paradisi fiscali. Troppo stretto e troppo poco rappresentativo dal punto di vista economico il G7. Sottovalutare, però, l’importanza del G7 dal punto di vista politico sarebbe un errore: perché la cooperazione internazionali sulle grandi crisi, per superare conflitti economici (specie valutari) e fronteggiare contagio finanziario, per evitare ritorsioni protezionisti, fronteggiare il terrorismo internazionale si è sempre rivelata decisiva. Il momento più basso del G7/G8 è stato durante le guerre del Golfo, quando il fossato tra le posizione dei partner era enorme e il ‘club’ che avrebbe dovuto essere il “regista” del mondo, era spaccato a metà come una mela.