Nel vocabolario della crisi ci sono termini fino a qualche mese fa usati ogni due per tre e poi chiusi nel cassetto. Uno di questi è ‘exit strategy’: indicava (e indica) l’uscita degli stati dalle banche salvate, il freno agli aiuti a singoli settori dell’economia. I primi, perlopiù, sono ancora lì, gli aiuti straordinari all’economia dureranno per tutto il 2011. Solo la Bce, per quanto concerne la liquidità, ha cominciato il ritorno alla normalità a dosi omeopatiche per non infiammare i mercati. Che cosa significhi poi ritorno alla normalità è ancora da chiarire, ma almeno su una cosa c’è accordo: l’obiettivo è che tutti, le banche in primo luogo, ricomincino a marciare con le proprie gambe. La flessibilità riguarda i tempi non l’obiettivo. La ‘exit strategy’ non vale per gli stati sotto il tiro dei mercati finanziari e alle prese con la crisi del debito sovrano, tanto è vero che i governi si apprestano ad aiutare e sempre più strettamente commissariare il Portogallo dopo Grecia e Irlanda. A un anno dal salvataggio della Grecia questa è la realtà: come dire che siamo soltanto a metà strada. La decisione sul prestito di 80 miliardi di euro al Portogallo è attesa per metà mese a patto che la Finlandia accetti (dopo aver trionfato alle elezioni politiche gli euroscettici del True Finns stanno presentando il conto al centro-destra).
Il motivo per cui i governi hanno smesso di esibire la ‘exit strategy’ come una bandiera e si acconciano a praticarla a passo di lumaca è semplice: non siamo ancora usciti dalla crisi finanziaria. O, meglio, siamo usciti dalla fase più dura e siamo entrati in un periodo di aggiustamento-assestamento che sarà probabilmente più lungo della fase di crisi acuta. Una conferma che le cose stanno così l’ha data il commissario europeo agli affari economici Olli Rehn, finlandese e sempre molto stringato nelle sue osservazioni. Respingendo l’idea che la strategia seguita dai governi per salvare la Grecia sia fallita, ha passato in rassegna gli effetti positivi dell’azione europea indicando che per ora sono solo stati evitati disastri maggiori o poco più. Un obiettivo fondamentale, però, è stato raggiunto: è stata contenuta la crisi del debito sovrano nei tre paesi più vulnerabili e cioè Grecia, Irlanda e Portogallo. Che sia stata fatta la cosa giusta è dimostrato dalla Spagna, che si sta allontanando dalla periferia della crisi (è tornato di moda parlando della Spagna del termine ‘decoupling’, disaccoppiamento, dagli altre tre paesi come è dimostrato dall’andamento degli spread sui titoli pubblici). E che cosa accadrà in Grecia, Irlanda e Portogallo? Per saperlo bisogna aspettare, dice Rehn, i programmi sono quelli giusti, ma siamo ancora solo all’inizio della loro attuazione. Conclusione: per sapere come andrà a finire nei tre paesi sotto tiro e nell’Eurozona bisognerà aspettare ancora parecchio.