“Rispetto alla situazione di un anno fa, le nostre preoccupazioni si sono spostate dall’elevata inflazione alla bassa crescita”. Con queste parole il numero 2 della Bce Luis de Guindos ha sintetizzato la situazione vista da Francoforte. Aggiungendo che “con un tasso di inflazione attorno al 2%, riforme strutturali e politiche di bilancio orientate alla crescita diventano cruciali per rilanciate produttività e competitività”. Poco prima un’altra esponente della Bce, Isabel Schnabel (che fa parte del board), ha indicato che l’attuale ciclo di politica monetaria “sta giungendo alla conclusione perché il tasso di inflazione a medio termine si sta stabilizzando attorno al target”. Identiche parole pronunciate una settimana fa dalla presidente Christine Lagarde dopo l’annuncio dell’ulteriore taglio dei tassi di 0,25 punti percentuali: “Stiamo arrivando alla fine di un ciclo di politica monetaria”, aveva detto. Lagarde, parlando alla tv cinese Cctv, ha indicato: “Abbiamo stabilizzato i prezzi al livello che ci aspettavamo, siamo entro il nostro obiettivo a medio termine, che è del 2%, e siamo in una buona posizione per resistere a choc futuri”. Pausa in arrivo, dunque, sulla manovra dei tassi di interesse in ribasso di 200 punti base da giugno 2024.
Benchè l’indurimento della politica commerciale americana costituisca un rilevante fattore di incertezza, dalla Bce non arrivano segnali di un allarme particolare immediato per gli effetti economici sull’Eurozona. Tuttavia la cautela è massima. A Pechino Lagarde invita a trarre le giuste lezioni della storia delle relazioni economiche globali e ricorda che “le politiche commerciali coercitive hanno molte più probabilità di provocare ritorsioni e portare a risultati reciprocamente dannosi”. Ha in mente anche – e soprattutto in questa fase – gli Stati Uniti. Dalle analisi Bce emerge che se il commercio globale dovesse frammentarsi stabilmente in blocchi concorrenti, gli scambi si contrarrebbero significativamente, con un peggioramento delle condizioni di tutte le principali economie. Ora c’è un’intesa Usa-Cina, ma i dazi risulteranno più alti di quanto fossero prima dello scatenamento offensivo di Trump, per quanto concerne la Ue il negoziato è ancora in alto mare.
De Guindos chiama in causa direttamente gli Usa: per il numero 2 Bce le politiche di Trump sono “un importante campanello d’allarme per l’Europa” e le conseguenze non sono da sottovalutare perché “è probabile che l’inaffidabilità e l’imprevedibilità persistano per anni a venire, rendendo l’incertezza una caratteristica distintiva che non sarà superata a breve”. Una incertezza che va oltre il commercio coinvolgendo altri ambiti come “la politica monetaria, fiscale o di sicurezza nazionale”. Per lui è “impossibile prevedere che cosa esattamente accadrà, tali sviluppi possono ben avere un impatto frenante sulla crescita nell’area dell’euro”.
Nell’immediato non c’è un rischio di peggioramento dell’economia. Isabel Schnabel ha sostenuto che le prospettive attuali restano “largamente stabili” pur nell’incertezza sulle politiche commerciali e sotto i colpi dei dazi di Trump (aumentati rispetto ai livelli precedenti). Tuttavia si teme che la stagione degli choc (a ripetizione) non sia finita. Quindi si è ben lontani da visioni zuccherate, dall’ottimismo. La cautela è massima.
De Guindos ha passato in rassegna gli ultimi andamenti: l’economia dell’area euro è cresciuta più del previsto nel primo trimestre del 2025, dello 0,6% su base trimestrale, grazie a fattori temporanei destinati a regredire. Nel breve termine ci sono vari segnali che indicano prospettive più deboli. Dazi più elevati ed euro più forte peseranno sull’export, rendono più difficile l’esportazione, l’elevata incertezza rallenta le scelte di investimento. Per fortuna il mercato del lavoro è solido, l’aumento dei redditi reali e le condizioni di finanziamento più favorevoli possono sostenere la crescita nel medio termine. La Bce stima una crescita del pil dell’area euro dello 0,9% quest’anno, dell’1,3% nel 2026. La stima per l’inflazione indica 2% nel 2025, 1,6% nel 2026 (a causa del calo dei prezzi energetici e dell’euro più forte), 2% nel 2027.
Dalla Bce parte un segnale chiaro ai governi e alle autorità Ue affinchè colgano l’occasione per accelerare l’integrazione dei mercati dei capitali, considerata una leva per rilanciare la crescita economica: la “palla” è nelle loro mani, poiché non è dalla politica monetaria che usciranno le soluzioni strutturali alle debolezze europee. Un mercato dei capitali integrato può facilitare le scelte di investimento delle famiglie (gli europei sono grandi risparmiatori: nel 2023 le attività finanziarie delle famiglie nella Ue ammontavano a 34.500 miliardi di euro, di cui un terzo costituiti da liquidità e depositi a basso rendimento). Di più, può costituire la leva finanziare le imprese innovative e pure i grandi progetti europei per le transizioni verde e digitale, per la difesa comune. Questi (che sono i nuovi beni pubblici collettivi che inevitabilmente richiederanno anche forme di indebitamento comune non occasionale). Tutti temi, questi, che rimandano alla volontà politica dei governi Ue, non certo alla politica monetaria.