Eurogruppo, verso il terzo mandato all’irlandese Donohoe senza grandi novità in vista (purtroppo)

Lunedì 7 luglio l’irlandese Paschal Donohoe dovrebbe essere «incoronato» per la terza volta consecutiva alla guida dell’Eurogruppo: a quanto risulta gli altri due contendenti, il ministro spagnolo Carlos Cuerpo e il ministro lituano Rimantas Sadzlus, non hanno grandi “chances” di diventare presidenti. Secondo fonti informate sulle discussioni recenti tra le capitali, non ci sarebbe bisogno neppure di una serie di votazioni giacchè Donohoe si avvarrebbe subito di un numero di voti sufficiente (è necessaria la maggioranza semplice”). Il terzo mandato al ministro irlandese non stupisce nessuno: per quanto tutti concordino sul fatto che attualmente prevalgono incognite e prospettive imprevedibili sia per la geopolitica che per l’economia e i mercati finanziari, manca la propensione a imbarcarsi in salti di innovazione nelle prassi e negli obiettivi politici dell’area euro.
La conferma di Donohoe rispecchierebbe la predominanza delle maggioranze politiche che nella Ue fanno perno sul partito popolare europeo: il ministro irlandese è del partito cristiano-democratico Fine Gael; il lituano è del partito socialdemocratico; lo spagnolo è un alto funzionario dello Stato, riconosciuto come buon negoziatore della riforma delle regole di bilancio in qualità di direttore generale del Tesoro, classificato in area socialista. Non sono tempi di cambiamenti negli equilibri politici al livello delle massime istituzioni europee, tanto più nel momento in cui sta crescendo al Parlamento europeo l’irritazione di socialisti e liberali per i frequenti giri di valzer della presidente della Commissione von der Leyen (Cdu) con la destra più estrema.
I due candidati spagnolo e lituano sono consapevoli del rischio bocciatura, tuttavia è norma che ci si provi per ottenere credito per incarichi futuri. Nel caso del superattivo Cuerpo, in prima fila nel distinguersi con proposte interessanti sebbene divisive, va segnalato che alla Spagna è andata male già due volte visti i tentativi naufragati per guidare l’Eurogruppo di Luis de Guindos e Nadia Calvino: dopo la bocciatura sono sbarcati alla vicepresidenza Bce il primo, alla guida della Banca europea degli investimenti la seconda.
Il ministro irlandese, seppure ultimamente criticato, ha indubbie doti mediatorie, è riconosciuto oltremodo competente e anche politicamente abile, termine che però spesso viene usato per non dire “gran navigatore”. Se il voto andrà secondo il pronostico, Donohoe quasi eguaglierà la durata della presidenza del lussemburghese Juncker, 8 anni e 20 giorni. Juncker (ppe) nel frattempo era pure premier il che dice molto sulla sua autorevolezza. L’olandese Dijsselbloem (laburista) durò quasi cinque anni, il portoghese Centeno (area socialista) due anni e mezzo.
La scelta del nuovo presidente dell’Eurogruppo non è il frutto di una riflessione politica su quanto fatto finora e sulle innovazioni per il futuro prossimo: le tre lettere di motivazione della propria candidatura non presentano sostanziali novità fatta eccezione per quella di Cuerpo, che ha posto con nettezza l’obiettivo di rafforzare il ruolo delle emissioni obbligazionarie comuni (“approfondire il mercato degli asset denominati in euro”), da considerare una delle leve per espandere l’uso globale della moneta unica come riserva valutazione e come mezzo di pagamento. Una leva della stessa importanza dell’integrazione del mercato dei capitali e dell’euro digitale. Donohoe punta sulla sua figura di “honest broker” (mediatore onesto), di “costruttore di ponti tra Nord e Sud, tra Est e Ovest, tra paesi euro e paesi non euro, tra Stati piccoli e Stati grandi”. Convenzionale Sadzlus.
Un tentativo per avviare un confronto politico sul ruolo dell’Eurogruppo nella Ue è stato pure fatto. I ministri finanziari di Francia, Germania, Italia, Olanda e Spagna hanno fatto circolare un documento (non paper, cioè documento non ufficiale che serve a vedere l’effetto che fa un’idea o una proposta) nel quale venivano proposte alcune indicazioni di lavoro: preparare il lavoro dell’Eurogruppo definendo preliminarmente gli obiettivi delle riunioni; assicurare che gli orientamenti concordati siano effettivamente messi in pratica predisponendo tabelle di marcia operative; evitare duplicazioni di lavoro con l’Ecofin e ridurre le riunioni con i ministri non euro (le riunioni a 20 devono essere più numerose delle riunioni Eurogruppo allargate a 27); concentrare il ruolo dell’Eurogruppo nel “fornire impulso politico su questioni relative all’area dell’euro e alla moneta unica durante l’intero processo politico e legislativo” (quindi, avere voce in capitolo nei negoziati politici sulle norme).
L’idea di fondo è un Eurogruppo “concentrato sulle discussioni strategiche chiave”, capace di “dare impulso alla tabella di marcia per l’Unione del risparmio e degli investimenti”, sede di discussione sul ruolo internazionale dell’euro e del suo utilizzo come valuta di riserva”. Che si occupa a pieno titolo anche del “monitoraggio attento dell’andamento dei tassi di cambio, in linea con le attuali prassi di lavoro, e della discussione della sua politica in materia di tassi di cambio” per “essere pronti ad adattarsi agli choc”. Sottolineatura non banale in questa fase di considerevole debolezza del dollaro.
Nel sottofondo del documento una critica alla gestione Donohoe, evidentemente considerata un po’ dispersiva, troppo aperta ai ministri non euro, troppo incline a far scivolare l’Eurogruppo verso una sede di analisi sulle “policy” con caratteri più seminariali che non strettamente operativi. A buon diritto si può sostenere che i risultati dell’Eurogruppo negli anni rispetto alle ambizioni oltre l’azione anti-choc prima per il Covid, poi perla guerra in Ucraina e per gli effetti energetici, non siano stati eccelsi; che politiche molto importanti come l’unione bancaria non hanno fatto grandi passi avanti; che sull’integrazione dei mercati dei capitali vuoti e ritardi sono conclamati.
Tuttavia si tratta di risultati non certo ascrivibili esclusivamente alle responsabilità di Donohoe: riflettono esattamente il livello di intesa (scarso) dei governi dell’area euro si temi politici ed economici decisivi. Non in altro modo possono essere spiegati lo scontro fra Germania e Italia sul completamento dell’unione bancaria (la paralisi sul sistema unico di sicurezza dei depositi); l’incapacità dell’Eurogruppo di superare la paralisi sulla ratifica del trattato Mes bloccata dall’Italia; le divisioni sul modo in cui procedere nell’unione dei mercati dei capitali con uno scatto della vigilanza centralizzata (da un lato la reticenza di Lussemburgo e Irlanda, dall’altro lato gioca il timore tedesco e francese di ledere il ruolo di Parigi e Francoforte quali centri finanziari nazionali).
Assenti dalle discussioni (almeno a quanto trapela) di queste settimane appaiono temi che stanno diventando materia assai spinosa: come rispondere alla deregolazione bancaria americana, dopo che la Fed ha indicato l’allentamento dei requisiti patrimoniali per permettere alle grandi banche di acquistare più Treasury bond; se e come dare seguito all’indicazione della Bce di approfittare del momento per rafforzare il ruolo globale dell’euro (l’ha espressa la presidente Lagarde parlando di mercati aperti frammentati, regole multilaterali violate a favore di giochi di potere bilaterali, ruolo del dollaro non più certo, protezionismo).
Da non escludere gli effetti sull’area euro dell’attacco di Trump all’indipendenza della Fed: la banca centrale americana, infatti, ha un ruolo decisivo nel fornire liquidità in dollari con le linee di swap verso altre banche centrali per fronteggiare stress finanziari pericolosi per la stabilità nazionale e globale. Si tratta di prestiti alle banche centrali per garantire liquidità in dollari nel sistema finanziario globale soprattutto in caso di crisi. La Fed, come ha ricordato l’economista americano Kenneth Rogoff, deve indicare che tali operazioni sono prive di rischio, se non lo fossero deve avere “un esplicito sostegno del Tesoro”. Non è certo nelle corde di Trump fare regali ad altri paesi (ex partner?). È un argomento che nessuno solleva volentieri, ma le banche centrali europee sono consapevoli che il problema – almeno in teoria – esiste. Qualche settimana fa il numero 2 della Bce de Guidos si è dichiarato fiducioso che la Fed manterrà le linee di swap. Tutto ciò indica che l’indipendenza della Fed è un tema che interessa i ministri finanziari dell’area euro molto da vicino.