Cina e incertezza Fed su emergenti i rischi principali per l’economia, ma spunta anche l’effetto Volkswagen

Il pendolo dei rischi per l’economia europea è più spostato sulla possibilità che peggiorino le previsioni di crescita che non sulla possibilità che migliorino. E’ questa il giudizio generale della Commissione europea contenuto nel rapporto economico autunnale. Al primo posto della lista dei rischi “al ribasso” c’è la Cina, seguono gli effetti nei mercati emergenti della normalizzazione della politica monetaria della Federal Reserve, le tensioni geopolitiche, compresa l’eventualità Brexit, la prosecuzione a ritmi più serrati del disindebitamento delle imprese e il peso dei crediti bancari in sofferenza, la percezione che l’aumento dell’immigrazione possa avere un effetto negativo sulla fiducia. In ogni caso, Bruxelles non è sembrata lanciare alcun messaggio allarmistico.

Negli ultimi mesi, indica la Commissione europea, la bilancia dei rischi rispetto alla previsione centrale di una crescita del pil nella zona euro dell’1,8% nel 2016 e dell’1,9% nel 2017 e nella Ue del 2% nel 2016 e del 2,1% nel 2017, “si è mossa verso il ribasso”. Un aumento ulteriore dell’incertezza globale potrebbe risultare in flussi maggiori di investimenti verso le valute europee considerate una specie di “paradiso sicuro” spingendo a un rafforzamento delle valute e a pressioni al calo dei prezzi più forti. Rischi di peggioramento possono anche arrivare dalla riduzione più pronunciata dei salari e dei prezzi negoziati a causa del disancoraggio delle attese delle aspettative di inflazione o di un aumento della concorrenza di prezzo dovuto alle riforme strutturali. Ciononostante, gli economisti di Bruxelles notano che “la ripresa dell’occupazione, dei salari e dei prezzi delle case limita i rischi di deflazione”.

La lista dei rischi di peggioramento del profilo della ripresa economica è questa. Un atterraggio duro della crescita cinese inciderebbe negativamente sulla crescita globale e sul ritmo del commercio dal quale la Ue ha tutto da perdere. Poi l’impatto atteso dell’avvio della restrizione monetaria da parte americana che potrebbe avere un impatto “anche più negativo” sulle economie emergenti e di qui sugli Stati Ue più esposti a quei mercati.

L’effetto sull’Europa di tali variabili esterne sarebbe canalizzato attraverso il commercio e attraverso i mercati finanziari con un aumento del costo di finanziamento per imprese, famiglie e governi. “Sorprese nella normalizzazione monetaria Usa potrebbero scatenare instabilità nei mercati finanziari e modificare improvvisamente la valutazione degli asset” con un aumento della volatilità generale.

Tra le incertezze geopolitiche la Commissione cita la difficoltà a definire soluzioni stabili a livello europeo sull’immigrazione, il referendum britannico sulla permanenza nella Ue, un ritorno della Grecia alla fase acuta della crisi. Sul piano interno, il peso dei debiti e la situazione dei bilanci bancari può continuare ad avere un impatto importante sulla fornitura di credito. E’ a questo punto che il rapporto di previsione cita (di nuovo) la questione immigrazione che potrebbe influenzare le aspettative generali aumentando le preoccupazioni sulla disoccupazione indebolendo i consumi privati.

Lo scandalo Volkswagen viene citato solo in relazione all’impatto negativo sulle vendite di automobili, sulla produzione manifatturiera del settore e sulla crescita del pil “in alcuni stati membri in particolare in Germania”, ma non viene fornita alcuna stima in merito. Ciò è davvero curioso: non c’è evento economico o politico anche di minore importanza immediata che non faccia scattare gli economisti e gli analisti comunitari, che si impegnano subito a elaborare scenari e simulazioni. Nel caso Volkswagen nulla, almeno nulla che emerga per una discussione pubblica. Di qui la sensazione che la crisi Volkswagen rischia di avere conseguenze pesanti che potrebbero non essere tutte compensate dalle maggiori vendite dei concorrenti del gruppo tedesco.