La Ue si chiude a riccio sul patto di stabilità, Berlino in allarme, la partita è aperta

  Allontanare l’idea di un asse dei ”deboli” contro i “forti” (cioè la Germania) per tessere la tela di una maggiore flessibilità nell’uso delle regole sui bilanci pubblici. Nello stesso tempo, sfruttare tutti i margini politici e le sponde possibili, compresa la sponda francese se sarà il caso, per rallentare l’avvicinamento al pareggio di bilancio in termini strutturali e smorzare l’intensità degli interventi per ridurre il debito. È questo il difficile passaggio che il governo Renzi si appresta a gestire, attore di primo piano il ministro dell’economia Pier Carlo Padoan. Il quale è stato oggi ben attento a confermare che l’Italia non intende buttare a mare i risultati del consolidamento del bilancio, non vuole essere ‘mescolata’ ai paesi che hanno un deficit/pil sopra il 3% e non riescono a tornare sotto nei tempi previsti, come la Francia. L’asse Italia-Francia non c’è assicura Padoan, eppure i due paesi stanno spingendo entrambi in direzione della massima flessibilità delle regole europee. L’impressione è che un asse ci sia, ma non conviene dirlo. I vertici Ue (Eurogruppo e Commissione) si chiudono a riccio, Berlino vigila allarmata.

  La Germania non ha forzato i toni. È bastato però un piccolo accenno del ministro delle finanze Schaeuble per capire che aria tira a Berlino: “Mi rimetto a quanto indicato dal commissario Olli Rehn: la Francia conosce i suoi obblighi e sa di avere già ottenuto due rinvii per ridurre il deficit”. Circola una analisi della Commissione sul modo in cui Francia e Spagna hanno utilizzato il maggiore tempo a disposizione per portare il deficit/pil sotto il 3% e il risultato non è a favore dei rinvii. Da tempo Germania e Finlandia hanno messo sotto accusa la Commissione per ‘eccesso di flessibilità’ nell’applicazione delle regole europee sui bilanci ed è anche per questo che Bruxelles ritiene chiuso il capitolo “clausola sugli investimenti” per l’Italia quest’anno (per permettere un deficit maggiore pur restando sotto il 3%).

   Finchè il problema di flessibilità si poneva solo per l’Italia, la cosa era gestibile senza grande clamore. E questo sia nel caso di una risposta positiva sia nel caso di una risposta negativa. Ora che anche la Francia  - tutti ritengono – spingerà nella stessa direzione, il caso si complica. Il presidente dell’Eurogruppo Dijsselbloem ricorda che Italia e Francia sono due grandi paesi e che hanno la responsabilità politica di non far perdere credibilità alla ‘governance’ economica dell’area monetaria. Sulla stessa onda il capo della Bundesban Weidmann: “Le regole di bilancio formano un insieme molto complesso che è centrale per il funzionamento e la stabilità dell’Unione, mi auguro che la Commissione interpreti in modo stretto il proprio potere discrezionale e che la Francia sia consapevole della sua responsabilità nel funzionamento del quadro regolamentare”. Italia e Francia sono due ‘pesi massimi’ e la Ue è di fronte a un bel dilemma: dire sì o dire no a due ‘pesi massimi’ è una operazione molto difficile.

Padoan fa bene a ricordare che Italia e Francia sono diverse: una ha un alto debito l’altra ha un alto deficit e si trova sotto procedura europea. È però altrettanto evidente che l’incidenza in termini di sostenibilità è diversa e diverso è il prezzo di rischio indicato dai mercati. Non conviene dire che c’è un patto Italia-Francia. L’Italia vuole più tempo per raggiungere il pareggio di bilancio in termini strutturali, diminuire l’intensità delle misure per ridurre il debito di un ventesimo all’anno (della parte eccedente il 60% del pil) tenendo conto di vari ‘fattori rilevanti’ : dalle riforme che daranno risultati nel tempo allo sforzo di riduzione in termini strutturali effettuato al livello del surplus primario. La Francia invece non ce la fa a rientrare sotto il 3%. L’Italia non vuole tornare sopra il 3% di deficit/pil nominale. Per questo non fa piacere accomunarsi alla Francia. D’altra parte la stessa Francia non è poi così contenta di essere accomunata all’Italia nel ‘fronte del Sud’. Che però i due governi abbiano tutto l’interesse – e anche tutta l’intenzione – a giocare la partita fino in fondo appare chiaro, lo si ammetta o meno. Renzi e Hollande parlano la stessa lingua sull’esigenza della centralità dell’impegno pro crescita. Ed è proprio questo il punto comune. D’altra parte, come ha ricordato recentemente il governatore Visco, in base alla regola europea sul debito pubblico, che sarà applicata all’Italia per la prima volta nel 2016, “non è necessario ridurre il valore nominale del debito: in condizioni di crescita ‘normale’, vicina al 3 per cento nominale, sarebbe infatti sufficiente mantenere il pareggio strutturale del bilancio”. In sostanza, dice Visco, “a differenza di quanto sostenuto da alcuni commentatori, non sarebbero necessarie manovre correttive da 40-50 miliardi all'anno, non sarebbe richiesto mantenere un orientamento permanentemente restrittivo alla politica di bilancio”. Il problema è che l’Italia non riesce a crescere al 3% nominale.