LETTERA DA BRUXELLES Roma e Parigi dovranno fare i conti anche con la Bce

  La partita sulla flessibilità per i deficit pubblici non è solo difficile da far digerire alla Germania e a l ‘fronte del Nord’, sarà difficile farla digerire anche alla Bce. Nelle discussioni correnti questo aspetto viene sottovalutato. Eppure la Bce ha un ruolo fondamentale di orientamento dei mercati e per questo ha a disposizione l’unico strumento finanziario che può essere usato per fermare attacchi al debito sovrano di un paese dell’Eurozona: l’acquisto illimitato di titoli pubblici, il ‘bazooka’ finanziario mai ancora imbracciato, ma il cui uso è stato solo minacciato. Sulla flessibilità per i conti pubblici Francoforte mantiene posizioni rigide: nell’ultimo Bollettino ha indicato che le priorità per il semestre europeo restano l’attuazione delle riforme strutturali, la correzione degli squilibri macro-economici e la riduzione del debito pubblico là dove è elevato. Il che richiede “un’applicazione efficace e credibile degli strumenti di sorveglianza esistenti nonché un’applicazione rigorosa, coerente e simmetrica della disciplina del patto di stabilità”. In sostanza, Italia e Francia, impegnate a strappare margini di flessibilità sulle regole di bilancio, dovranno fare i conti anche con Francoforte non solo con Berlino.

Non ci sono novità nell’analisi della Bce, che appaiono sostanzialmente in linea con quelle della Commissione europea. Per quanto siano stati grandi sforzi, il miglioramento strutturale dei conti pubblici nell’Eurozona secondo la banca centrale non è soddisfacente: per quest’anno si prevede un miglioramento strutturale pari soltanto allo 0,23% del pil nell’Eurozona contro lo 0,5% previsto dal patto di stabilità. Francia e Italia sono fra i paesi sui quali la Bce ha puntato l’attenzione. L’interesse per le valutazioni Bce è dato dall’enfasi particolare sulla necessità di attuare in modo “efficace e credibile” le procedure di sorveglianza sui bilanci pubblici. Guardacaso il presidente della Bundesbank Weidmann si è riferito proprio alla credibilità della ‘governance’ economica europea quando ha suonato l’allarme sulle pressioni di Francia e Italia per strappare ulteriori margini di flessibilità nell’applicazione del patto di stabilità, la prima per il deficit la seconda per la riduzione del debito. La credibilità è un tasto sul quale batte sempre Draghi, convinto assertore del principio della ‘simmetria’. Vuol dire che la disciplina di bilancio deve essere attuata “anche nei periodi in cui l’attività economica migliora in modo che i paesi costituiscano sufficienti risorse di riserva prima che la situazione torni a peggiorare”. È una prospettiva difficile da far digerire ai cittadini specie con l’approssimarsi delle elezioni nel pieno del rafforzamento dell’opposizione alle politiche europee. Naturalmente il problema è di misura, visto che con una crescita debole lo sforzo di bilancio non può (non deve) essere tale da farla indebolire ancora di più (come è infatti accaduto). Ed è proprio sulla misura che si registra il contrasto sull’indirizzo delle politiche economiche e di bilancio. Rispondendo preliminarmente alle pressioni italiane e francesi per aprire una nuova partita della flessibilità sulle regole di bilancio (sfruttando al massimo i varchi esistenti e forse anche andando oltre), Commissione e presidente dell’Eurogruppo hanno tirato in ballo proprio la credibilità non solo dei singoli paesi, ma dell’insieme dell’Eurozona. Italia e Francia sono troppo grandi per tutto: per fallire come per smontare surrettiziamente il sistema di supervisione economica. È una risposta classica insufficiente per il semplice motivo che non entra nel merito del problema sollevato. Italia e Francia, infatti, sono anche troppo grandi per avere il motore dell’economia imballato troppo a lungo. Nel merito si entrerà tra qualche settimana e di qui a giugno si capirà come i governi e la Ue intendono gestire questa fase. Ma, almeno nel caso italiano, la partita non si esaurirà in un paio di mesi: Renzi e Padoan puntano a dimostrare che ‘spending review’ e riforme politico-economiche in cantiere otterranno dei risultati strutturali (permanenti) che avranno un effetto non solo sul sistema della spesa pubblica, ma anche sul pil. I risultati in termini di deficit strutturale si vedranno in corso d’opera, più avanti. Il governo intende usare la presidenza italiana della Ue nel secondo semestre per forgiare una nuova strategia che raggiunga un equilibrio soddisfacente tra disciplina di bilancio e azione per la crescita. Si riparlerà di ‘accordi di partenariato’ per dare incentivi agli Stati che fanno le riforme strutturali che comportano dei costi a breve. Quindi, è nell’interesse dell’Italia procedere lentamente. Senza strappi. Non a caso Renzi si è dato tre mesi di tempo per aprire il “fronte” con Bruxelles. E’ molto probabile che Commissione ed Eurogruppo faranno di tutto per evitare che i casi di Italia e Francia siano messi nello stesso ‘mazzo’ avendo origini e obiettivi diversi: l’Italia deve assicurare un calo sufficiente del debito, la Francia deve assicurare l’uscita dalla procedura per deficit pubblico (mentre l’Italia ne è già uscita). Il ministro dell’economia vuole evitare che si parli di un ‘asse’ italo-francese perché un conto è chiedere un rinvio della scadenza per uscire dalla procedura europea un conto è chiedere più tempo per avvicinarsi al pareggio del bilancio in termini strutturali. Sarebbe un modo per ridurre preoccupazioni e sospetti tedeschi. D’altra parte anche ai francesi non piace associati agli italiani come componenti di un allargato e variegato ‘fronte del Sud’. Tuttavia è indubbio che Italia e Francia stanno spingendo nella stessa direzione e a Berlino lo sanno benissimo.