Alla vigilia del vertice Ue straordinario ci sono diverse notizie buone e qualcuna cattiva. Una notizia buona è che c’è aria di un accordo tra banche (e qualche importante hedge fund) e governo greco per il riscadenzamento del debito ellenico. Non sono ancora chiari i termini, ma la cosa certa è che si moltiplicano le indicazioni di una decisione nel fine settimana. Non si sa quale ruolo potrà giocare su questo aspetto la Bce, strattonata anche dal Fondo monetario internazionale affinché accetti un ‘haircut’ sui titoli acquistati nel mercato secondario ma, anche se il presidente dell’Eurogruppo Juncker ha detto che la questione si pone, una scelta del genere appare molto improbabile. Più probabile invece che si intervenga sulle dimensioni del secondo prestito (previsto di 130 miliardi di euro) per permettere alla Grecia di portare il debito dal 160% del pil al 120% entro il 2020. Naturalmente l’accordo eventuale sulla ristrutturazione dolce del debito greco, se ci sarà, dovrà passare al vaglio dei mercati e, in particolare, dell’International Swaps and Derivatives Association, che dovrà stabilire se l’operazione implica il ‘default’ oppure no. E poi toccherà alle agenzie di rating. Percorsi tutti in salita.
La seconda notizia buona è che il ‘patto di bilancio’ voluto dalla cancelliera tedesca Merkel lunedì sarà firmato e controfirmato. Non ancora ratificato, però: può darsi che ci sia qualche incidente di percorso tra parlamenti nazionali e opinioni pubbliche, ma siccome basterà la ratifica di 12 paesi su 17 dell’Eurozona per farlo entrare in vigore, la strada è se non in discesa, almeno piana. Il ‘patto’ (‘fiscal compact’ in inglese) è la cornice politico-giuridica che bullona la disciplina di bilancio degli stati dell’euro, rende ancora più difficile ai governi respingere la richiesta della Commissione europea di avviare la procedura europea in caso di superamento ingiustificato del 3% di deficit/pil (con le nuove regole già in vigore si arriva rapidamente alle sanzioni). Con i mercati in perenne fibrillazione un banale ‘early warning’ (allarme preventivo) sui conti pubblici sarà ben più di una frustata passeggera. La terza notizia buona è che finalmente i capi di stato e di governo si apprestano a occuparsi di crescita economica e di occupazione (specie dei giovani) consapevoli che presentare solo il lato duro dell’interventismo europeo non solo è controproducente dal punto di vista politico (la crisi ha spazzato via già molti governi, compreso quello guidato da Berlusconi), ma è anche un boomerang: senza crescita non ci sono risorse per ridurre l’indebitamento in una fase di restrizione finanziaria su scala continentale.
E ora le notizie cattive. La prima è direttamente legata all’ultima notizia buona: oggi non si tratta semplicemente di migliorare o irrobustire la crescita, stando alle ultime stime Fmi si tratta di fronteggiare di nuovo una recessione (-0,5% quest’anno). Con una divergenza crescente tra i paesi dell’unione monetaria: l’Italia sta peggio degli altri (-2,2% nel 2012 e -0,6% nel 2013), la Germania fa da mezzo argine (+0,3% quest’anno e ripresa all’1,5% nel 2013) insieme con la Francia (+0,2% e +1%). Ci vorrebbe qualcosa di più del solito menu delle cose da fare che si ritrova in tutti i documenti europei, ma chi cerca qualche novità nella dichiarazione politica che sarà discussa dai capi di stato e di governo lunedì prossimo resterà deluso. Le priorità Ue sulle quali convogliare il massimo dei fondi europei possibili sono tre: lavoro per i giovani, completamento del mercato interno, accesso al credito per le piccole e medie imprese l’accesso al credito. A prima vista non c’è un elemento nuovo rispetto a quanto già annunciato o previsto. Potrebbe esserci qualche precisazione in termini di calendario (il governo italiano vorrebbe scrivere una data a fianco di ogni impegno preso), niente di fondamentalmente nuovo oltre alla drammatizzazione dell’analisi (“la crescita media sta rallentando, i mercati finanziari restano instabili e la disoccupazione sta aumentando”).
Altra notizia cattiva o, meglio, conferma di una notizia cattiva, riguarda il parafulmine contro il ‘default’: il confronto sul rafforzamento del Fondo salva-stati Esm è rinviato al vertice di marzo. Sarà concordato il trattato che lo istituisce, ma non è su quello che puntano l’attenzione i mercati. Resta una divisione profonda fra i principali governi. La Germania agirà solo quando “concretamente” si dimostrasse insufficiente la dotazione di capitale prevista (dotazione effettiva di capitale 500 miliardi di euro, mentre l’Efsf in funzione oggi dispone di garanzie governative per 250 miliardi). Italia e Francia insistono sull’effetto segnaletico che avrebbe una decisione più rapida: ci si fiderebbe di più della capacità di gestione della crisi da parte dell’Eurozona che, almeno, smetterebbe di ricorrere ai tamponi finanziari avendo a disposizione uno strumento di intervento “di ultima istanza”. La speranza è che abbia ragione Mario Monti, secondo il quale una volta acquisito il ‘fiscal compact’ la cancelliera tedesca (e la Bce) possano avere mani più libere per azioni più coraggiose. E, soprattutto, rapide.