L’idea del ministro Tremonti di allungare il periodo di indennità di disoccupazione alla scadenza degli otto mesi previsti dalla legge non è un fulmine a ciel sereno. A Bruxelles è uno degli argomenti che, come un fiume carsico, scorre sotterraneo tra i corridoi e riemerge con forza in superficie nelle riunioni politiche. Due settimane fa l’Eurogruppo aveva lanciato un allarme: si sta rischiando una vera e propria crisi sociale.
Non è la prima volta che i ministri finanziari dell’Eurozona lanciano un allarme e poi ritirano il braccio. Era accaduto un paio d’anni fa con le retribuzioni da capogiro dei manager e, di conseguenza, sulla necessità di affrontare la ‘questione salariale’ dei lavoratori dipendenti. Non era successo nulla, poi è arrivata la crisi finanziaria e a mettere sotto sorveglianza buste paga e liquidazioni dorate ci penserà in futuro l’autorità di sorveglianza finanziaria. Di salari nessuno parla. Ovvio nel corso di una recessione, meno ovvio che non ci sia uno sforzo massiccio e visibile in tutti i paesi per ridurre sostanzialmente i costi non salariali almeno per i lavoratori a bassa qualificazione. A Bruxelles ci si aspetta che il peggioramento della disoccupazione prosegua per molto tempo, ben oltre metà 2010, quando viene ipotizzato l’avvio della fase a crescita positiva. I cosiddetti ‘green shoots’, verdi germogli che indicano segni di ripresa dell’economia quando il rallentamento o la recessione sono ancora in atto (evocati per la prima volta in questo senso nel 1991 dall’allora cancelliere dello Scacchiere britannico Norman Lamont), non riguarderanno per i prossimi mesi la disoccupazione. Da settembre i posti di lavoro persi annunciati sono tre volte quelli creati (colpa prevalentemente di fallimenti o chiusure di aziende). Secondo i calcoli della Commissione europea tre anni di progressi compiuti da metà 2005, che hanno portato il tasso eurozona dal 9% al 6,7%, sono stati bruciati in soli 14 mesi. Entro la fine dell’anno la disoccupazione è prevista salire all’11,1%, a fine 2010 al 12,3%. Con una novità: ora sono più colpiti i lavoratori maschi e quelli avviati dalle agenzie per il lavoro temporaneo.
A Bruxelles si è convinti che ad un certo punto potrebbe essere necessario intervenire sulle coperture di disoccupazione che sono attualmente limitate. Cinque mesi fa la Commissione europea riteneva fossero generalmente sufficienti e non fosse il caso di fare cambiamenti. Motivo: evitare effetti negativi sugli incentivi al lavoro. Ma allora si prevedeva una crescita del pil nell’eurozona all’1,9% quest’anno, oggi invece si prevede un calo attorno al 5%. Un altro mondo. Della cosa si parlerà molto da settembre. Non si tratta di fornire una ricetta valida per tutti i paesi dal momento che non c’è un regime unico europeo. I quattro modelli esistenti (Regno Unito-Irlanda, fronte del Nord, sistema continentale e fronte del Sud, di cui fanno parte Italia, Spagna, Portogallo e Grecia con ridotto livello di spesa per le prestazioni sociali e durata medio-bassa del sussidio) sono molto diversi tra loro per livello e durata della copertura. Ciò che dovremo attenderci, semmai, è un invito di natura politica.
Un altro versante di analisi utile per capire come i governi dovranno gestire l’autunno "sociale" è definire con chiarezza la posizione dei disoccupati nella famiglia. Alla metà degli anni ’90 in Europa c’erano tre modelli: in Grecia, Spagna e Italia i disoccupati erano in maggioranza figli che vivevano con genitori mentre capifamiglia e ‘single’ erano il 20%; in Germania e Regno Unito oltre il 53% delle persone in cerca di lavoro era costituito da capifamiglia e ‘single’; in Francia, Belgio, Olanda e Austria capifamiglia e single costituivano il 40-45% mentre il 28-33% dei disoccupati viveva in coppia. La sensazione degli osservatori della disoccupazione è che generalmente sia aumentata la quota dei capifamiglia.