Ormai i segnali sono molti, anche pubblici (per esempio alla conferenza stampa romana di Letta-Hollande). Da tempo se ne parla nelle stanze più o meno segrete dei ‘palazzi’ europei: a guidare l’Eurogruppo ci vuole un presidente permanente. Basta con il mezzo servizio, stare da una parte (a capo del ministero delle finanze in patria) e pure dall’altra (alla testa dell’Eurogruppo, appunto). Hollande è d’accordo, per lui è quasi un cavallo di battaglia, Letta pure e a quanto risulta non sarebbe contraria la cancelliera tedesca Merkel. Guardacaso la discussione su tale ipotesi riprende il volo (non è ancora chiaro a quale altezza) nel momento in cui si avvicina la partita delle grandi nomine europee, dal presidente della Commissione all’alto rappresentante per la politica estera, dal presidente del parlamento europeo al presidente dell’Unione europea. Il percorso è ancora lungo, naturalmente, nulla si deciderà fino al voto di maggio per le europee. Se vincono i socialdemocratici le cose prenderanno una piega, se vincono i popolari ne prenderanno ovviamente un’altra. Sta di fatto che potrebbe aggiungersi una casella, e che casella, alle altre caselle europee da riempire, permettendo di distribuire meglio le carte nel complicato gioco geo-politico degli equilibri ai vertici delle istituzioni europee.
La serie di interviste rilasciate a diversi giornali europei dall’attuale presidente dell’Eurogruppo Jereon Dijsselbloem il giorno stesso della riunione straordinaria dei ministri finanziari, dedicata per la prima volta alle leggi finanziare dei paesi membri (esclusi quelli sotto programma di assistenza), ha fatto un po’ di rumore perché il ministro olandese ha stroncato senza mezzi termini proprio l’idea di un presidente permanente: “L’Eurogruppo funziona bene, come si dice da noi: non si ripara una cosa che non è rotta, so che la Francia è a favore di una tale funzione in nome di un governo economico europeo, gli olandesi non ci credono”. Nella stessa intervista Dijsselbloem stronca anche l’idea di un bilancio dell’Eurozona.
E’ sembrato che il ministro olandese giocasse in difesa. In realtà la questione è tornata su tavoli europei (anche se non ufficialmente) proprio a causa della gestione attuale della presidenza Eurogruppo: in qualche occasione Dijsselbloem è stato percepito troppo influenzato dalle dinamiche politiche interne olandesi, specie durante qualche audizione parlamentare nazionale. Un problema che con il decano dell’Eurogruppo ( e dei vertici europei) Jean Claude Juncker non era mai emerso tale era alto il suo profilo politico (era anche premier del Lussemburgo non solo ministro).
L’idea di un presidente permanente, non un semplice ministro delle finanze in carica che assume il ruolo di coordinatore e “facilitatore” delle decisioni dell’Eurogruppo, è certamente coerente con una visione “forte” dell’unione monetaria, con un coordinamento sempre più stringente, una capacità di decisione e azione comuni che oggi non c’è. Un organismo nel quale le principali scelte di politica economica e sociale dei paesi membri sono discusse, verificate e poi controllate dal ‘centro’, con meno mediazioni, ritardi, zig zag. Un organismo che è il “motore” di una unione monetaria sempre più “contrattualizzata”, secondo l’ipotesi tedesca, con i paesi volontariamente vincolati a programmi di riforma per i cui costi potranno beneficiare di qualche incentivo finanziario. Deve trattarsi, secondo alcuni, pochi per la verità, di un’Eurozona con un bilancio proprio, che emette debito comune (e qui Germania e gli altri paesi del ‘fronte del Nord’ non ci stanno). Se questo è il contesto, appare evidente che un’Eurozona con un presidente permanente non più soltanto un semplice “coordinatore” di pari grado dei ministri finanziari, è davvero un obiettivo ambizioso che logicamente dovrebbe completare un processo, non anticiparlo.
Non è chiara una cosa importantissima, fondamentale: che cosa deve fare di diverso dal presidente a mezzo o a un quarto di servizio? Ecco il punto: per essere una prospettiva credibile occorre definire ruoli, poteri, risorse. Un presidente permanente deve necessariamente riflettere un livello superiore di condivisione delle scelte politiche nazionali rispetto a oggi a meno di non metterlo a guardia di un bidone vuoto. Non solo: implicherebbe elevare automaticamente il profilo internazionale dell’Eurogruppo, una scelta politica per l’euro, per il ruolo dei paesi a moneta unica al Fondo monetario. Di tutto questo non si parla pubblicamente. E, forse, se ne parla troppo poco anche privatamente, segno che risposte convincenti e condivise ancora non ce ne sono. E’ difficile, in ogni caso, che si tenti una strada del genere prima di sapere che cosa uscirà dalle urne in primavera con tutti i rischi di una forte ondata di populismo anti-europeo.