Il Consiglio europeo procederà con i piedi di piombo sulle sanzioni contro la Russia, ma il motivo non riguarda solo la forte dipendenza dalle importazioni di gas e petrolio (e pure di carbone), l’interesse della City a mantenere il ruolo di ‘piattaforma’ finanziaria privilegiata degli affari russi su scala planetaria, l’interesse francese a vendere a Mosca gli elicotteri Mistral, gli interessi bancari e industriali in Russia (anche italiani), il legame a filo doppio tra Russia e Germania e tra Russia e Italia sui gasdotti (rispettivamente North Stream e SouthStream cui sono fortemente interessati anche i francesi). Per quanto le divisioni tra i paesi europei siano evidenti, tanto da mettere in tensione i rapporti tra la prudente Germania e le capitali dei paesi dell’Est, c’è un’altra ragione che nei “palazzi” europei viene indicata “fondamentale dal punto di vista politico e diplomatico”: se è vero che va data una risposta “puntuale” alla Russia man mano che si sviluppano gli eventi, è anche vero che aumentare rapidamente entità, quantità e qualità delle ritorsioni esaurisce altrettanto rapidamente l’arsenale degli strumenti a disposizione. Così la domanda ricorrente in questi giorni nei “palazzi” Ue è: e dopo la terza fase che cosa facciamo?
Il peggioramento delle relazioni di mezzo mondo con la Russia, dagli Stati Uniti all’Unione europea al Giappone agli altri membri del G7, non è un gioco a somma zero. È un gioco in cui tutti perderanno qualcosa: alcuni perderanno poco, altri perderanno molto (in prima linea ci sono i paesi della ‘cintura’ Est dell’Unione europea),e in un periodo in cui la solidarietà è una merce rara, comunque difficile da assicurare, questa è una complicazione non da poco. La Russia è il terzo partner commerciale della Ue dopo Usa e Cina, ma la Ue è per la Russia il primo partner. Nel 2012 la Ue ha importato beni per 293 miliardi dalla Russia, principalmente energia, e ha esportato per 170 miliardi. Questa è la situazione che va tenuta presente quando si valutano gli effetti economici delle sanzioni. Non basta rilevare che nel 2013 Gazprom ha aumentato notevolmente le esportazioni di gas verso l’Europa occidentale (specie in Germania e Turchia, che sono i più importanti consumatori ‘regionali’ di gas, con l’Italia che ha raggiunto il record delle importazioni con un aumento del 68% e la Gran Bretagna con un aumento del 53% secondo dati del gruppo russo). Il primo consumatore di gas russo tra i paesi ex Urss è sempre la Polonia, le forniture di Gazprom alla Repubblica Ceca nel 2013 sono aumentate dello 0,6%, in Ungheria del 13,4%, in Slovacchia del 29%. Per questo “è inevitabile che le tensioni tra Ucraina e Russia evochino nell’Unione europea la memoria dell’interruzione delle forniture di gas nell’inverno 2009”, segnalano Arno Behrens e Julian Wieczokiewicz del Centre for European Policy Studies di Bruxelles in un ‘paper’ appena pubblicato.
Non va affatto sottovalutato l’effetto economico generale dell’isolamento politico della Russia: la Borsa ha perso circa il 12% dall’inizio dell’anno, il rublo ha perso il 9% rispetto al dollaro. A gennaio la Russia ha toccato il più basso livello di investimenti dal 2010, i salari crescono al ritmo più basso dal 2009 e il reddito reale è in calo dell’1,5%. Con il rublo in caduta Mosca danza sull’orlo della recessione. Dopo lo scoppio della crisi ucraina l’ex ministro delle finanze russe Alexei Kudrin ha indicato che i crediti contratti dalle imprese nazionali all’estero hanno raggiunto 700 miliardi di dollari. Di qui il suo allarme per la chiusura di numerose linee di credito. Qualcuno malignamente sostiene che dopo aver combattuto contro i mercati durante la grande crisi del debito sovrano, ora la Ue si fa forte dei mercati per reagire contro la Russia cercando di pagare il prezzo più basso.
Secondo alcuni esperti la dipendenza della Ue dal gas russo va relativizzata. I due analisti del Ceps di Bruxelles rilevano che circa un quarto dell’attuale ‘energy mix’ europeo è costituito da gas naturale, per la maggior parte usato nella produzione elettrica, riscaldamento e materia prima nella produzione industriale. Del totale del gas naturale bruciato nella Ue solo il 23% arriva dalla Russia. Ne deriva che solo un livello pari a meno del 6% dell’attuale ‘energy mix’ europeo dipende dal gas russo. Inoltre, la quota di gas russo nel totale delle importazioni di gas della Ue (incluso il gas naturale liquefatto) è calata significativamente dal 39% nel 2009 al 36% nel 2012 nonostante la crescita totale della dipendenza dalle importazioni.
“Mentre la dipendenza della Ue resta alta – scrivono Behrens e Wiczorkiewicz – la Russia può essere dipendente dai ricavi da esportazione di gas più di quanto sia dipendente la Ue dal suo gas”. Il 53% delle esportazioni di gas russo va nella Ue (17 miliardi di euro): “Gazprom e il bilancio statale russo sono altamente dipendenti dalle esportazioni nella Ue e ulteriori problemi nelle forniture potrebbero portare ad aumentare gli sforzi di molti Stati dell’Unione europea a sostituire il gas russo”. Ciò non può avvenire a breve termine, ma è un fatto che i Ventotto abbiano ribadito con un’enfasi maggiore del solito che devono essere intensificati gli sforzi per ridurre “l’elevata dipendenza dal gas”, che occorre accelerare la diversificazione delle forniture energetiche, “elaborare modi per aumentare il potere di negoziazione”. Su quest’ultimo punto la partita non è mai stata aperta essendo le relazioni energetiche con la Russia territorio esclusivo delle strategie economiche e di sicurezza nazionali di cui a Bruxelles si parla con grande fatica. L’enfasi dipende dal fatto che la Ue è sotto botta per il colpo di mano russo in Crimea, ma risponde a una esigenza posta in modo acuto dagli ultimi inverni trascorsi sotto ostaggio dei litigi commercial-politici fra Mosca e Kiev.