“La mia sensazione è che entrambe le parti, creditori e Grecia, stiano tirando troppo la corda per cui si rischia un incidente, un errore che può far precipitare la situazione. Che ciò avvenga non lo vogliono né gli europei né il Fondo monetario internazionale, però il vero rischio in questa fase è che adesso tutti tirino troppo la corda, che a un certo punto la corda si spezzi e apra uno scenario le cui conseguenze nessuno conosce”. E’ questa la valutazione dell’economista Andrea Montanino, per diversi anni nel board Fmi come direttore esecutivo in qualità di rappresentante dell’Italia e da qualche mese direttore del dipartimento ‘global business and economics’ all’Atlantic Council, ‘think tank’ di Washington. In questa intervista a Il Sole 24 Ore Radiocor, Montanino spiega perché non c’è alternativa a un rapido accordo sulla Grecia e alla definizione di un terzo programma di aiuti “di lungo periodo”.
L’Eurogruppo parla di progressi nel negoziato, la Bce continua a sostenere le banche elleniche, ma la tensione e la preoccupazione che ci si incarti sono altissime.
“Purtroppo la Grecia è schiacciata dall’emergenza finanziaria perché deve far fronte a una massa di pagamenti per svariati miliardi ai creditori, europei e Fondo monetario internazionale. C’è un’esigenza di liquidità da risolvere e questa incertezza grava su tutti, sui greci, sui creditori e sui mercati rendendo la situazione molto difficile”.
Ora c’è l’allarme del ministro Varoufakis sulla liquidità disponibile solo per due settimane, ma si va avanti così da un paio di mesi e finora Atene ha pagato…
“E’ in corso un duro negoziato e ognuno tiene ancora le proprie carte coperte. Il rischio che la situazione precipiti è alto, che succeda non lo vogliono gli europei come non lo vuole il Fmi. Certo che far saltare tutto, far saltare gli sforzi fatti finora per 7,2 miliardi, che è quanto Fmi e paesi europei dovrebbero dare alla Grecia per superare la fase di scarsità di liquidità, sarebbe assurdo. Mi sembra strano si faccia saltare il banco per questo….”
La maggior parte dei 7,2 miliardi, cioè l’ultima ‘tranche’ del prestito previsto dal secondo programma di aiuti in scadenza a giugno, serve sostanzialmente a ripagare i creditori….anche questa una situazione paradossale benché normale…
“Purtroppo questo assurdo è una costante nei programmi di salvataggio finanziario che vedevo quando stavo al Fondo monetario internazionale. Un anno e mezzo fa il Fondo ha varato un nuovo importante programma per il Pakistan perché il Pakistan non era in grado di rimborsare, appunto, lo stesso Fmi. Da situazioni del genere si esce soltanto con tassi di crescita economica molto sostenuti in grado di generare ricchezza nel paese”.
La sensazione è che in molti settori finanziari e anche nelle ‘élite’ politiche di alcuni paesi, anche in Germania, ci si stia preparando al peggio. Qualcuno in Europa sembra perfino sedotto dall’idea di una Grexit, cui potrebbe seguire una fase di rafforzamento dell’Eurozona…
“Non so se ci si sta preparando al peggio, ma credo che oggi la priorità sia chiara: la maggior parte dei titoli sovrani ellenici è in mano pubblica oltreché di qualche grande investitore, la cosa più importante è trovare un accordo con i creditori pubblici”.
L’impressione è che il Fondo monetario stia lavorando per sfilarsi dalla Grecia, ora è tornato alla carica con la necessità di ristrutturare il debito ellenico, contro gli interessi dei creditori pubblici europei…
“Da parte del Fmi c’è sicuramente la presa d’atto di un fatto abbastanza noto: il debito greco non è sostenibile e in base alle regole, se l’analisi di sostenibilità arriva a tale conclusione, il Fondo non può proseguire i prestiti. L’insostenibilità del debito gli impedisce di partecipare al programma di salvataggio. E’ questa la ragione per cui informalmente il Fondo monetario ha parlato della necessità di una ristrutturazione”.
Da tempo alcuni grandi azionisti Fmi hanno indicato la loro insoddisfazione se non opposizione al coinvolgimento nel salvataggio della Grecia, pensiamo al ruolo del Brasile, per esempio.
“Vorrei fare un salto indietro: per vari decenni ci sono stati un gruppo di creditori formato da americani ed europei e un gruppo formato da tutto il resto del mondo, grossomodo il gruppo dei debitori. Ora ci troviamo in una situazione in cui i ruoli sono ribaltati, ma è una situazione contingente. Negli ultimi 60 anni tutti i programmi Fmi si sono fondati sul fatto che americani ed europei erano creditori, per qui la polemica su questo, su chi e perché va aiutato, è davvero di breve periodo. In ogni caso, il Fondo monetario è una istituzione a tutela della stabilità finanziaria, se in questo momento il problema della stabilità coinvolge l’Europa non c’è nulla di male a occuparsene. Ma va detto che, rispetto al passato, ora c’è una eccezionale concentrazione del rischio in un’area del mondo che è l’Europa e in particolare sulla Grecia, per cui il Fondo monetario con le sue regole agisce come una banca: vede una concentrazione del rischio troppo elevata in una zona e chiaramente ciò fa accendere una lampadina rossa. E i paesi emergenti, i Brics, cavalcano quest’onda dicendo ‘stiamo dando troppi soldi agli europei”.
Si parla parecchio di piani B, tutti li smentiscono, molti li preparano. Che ne pensa?
“Secondo me non ci sono piani B, nel senso che qui il vero piano è dare rapidamente i soldi ai greci e definire un terzo programma, ci sono meno di due mesi di tempo per discuterlo. Deve essere un programma a lungo termine, un programma di dieci anni perché la Grecia non è un paese che può essere riformato in tre anni: va trasformata profondamente l’economia, va trasformata l’amministrazione pubblica in tutte le sue articolazioni e ciò richiede molto tempo. I creditori devono assumere un’ottica diversa, devono immaginare un programma di lungo periodo e questa è una cosa che non esiste nelle regole del Fondo monetario. Il piano B è sostanzialmente il fallimento della Grecia e a quel punto ci si muoverebbe in un territorio totalmente inesplorato: si tratterebbe del fallimento di uno Stato in un’area valutaria che non esiste in nessun altro luogo al mondo. Negli Usa si fa il confronto con il fallimento di Detroit nel 2013, però Detroit è rimasta negli Stati Uniti, non ne è uscita”.