Questa volta l’alta magistratura europea ha dato piena ragione al Regno Unito, una manna politica per chi è seriamente preoccupato per il rischio Brexit (uscita del Regno Unito dall’Unione europea), ma una doccia fredda e un problema per la Bce. La bocciatura del quadro di sorveglianza Bce sulle controparti centrali degli Stati non euro nella compensazione dei titoli finanziari in euro da parte del Tribunale Ue è destinata a produrre diversi effetti sia sul piano delle relazioni tra le autorità finanziarie dell’Eurozona e del Regno Unito sia sul piano politico.
Il Tribunale Ue ha sancito che la Bce non ha il potere di disciplinare l’attività delle ‘clearing house’, di conseguenza non può obbligare le controparti centrali britanniche a essere registrate giuridicamente in uno stato della zona euro. Indubbiamente un problema di sorveglianza per prevenire rischi sistemici esiste: Londra è una piattaforma globale per la compensazione delle transazioni sui derivati, inclusi quelli denominati in euro. Se le controparti centrali britanniche non funzionano bene, la Bce usa il termine “malfunzionamento”, potrebbero verificarsi effetti negativi sui sistemi di pagamento nella zona euro. In sostanza, la compensazione di una transazione in titoli denominati in euro, secondo la Bce, non può essere considerata sicura se la ‘clearing house’ non ha accesso ai meccanismi di liquidità dell’Eurozona. I giudici europei spezzano la logica consequenziale della Bce per cui, dovendo assicurare il regolare funzionamento dei sistemi di pagamento nella zona euro necessariamente, la banca centrale non può fare a meno di imporre dei vincoli alle infrastrutture di compensazione dei titoli che non sono localizzate nell’Eurozona. Però indicano una possibile strada: il legislatore europeo può sempre modificare lo statuto del sistema europeo delle banche centrali, cosa fattibile perché il Consiglio delibererebbe a maggioranza qualificata e non all’unanimità.
Per mesi con le accuse britanniche contro l’accumularsi e l’estendersi del potere della Bce e più in generale delle istituzioni europee nel territorio della sovranità nazionale, al centro del quale gli interessi della City giocano un ruolo rilevantissimo, era stato paventato l’indebolimento del ruolo di Londra come centro finanziario fondamentale per l’Eurozona. Ora lLa Bce è stata ‘bocciata’ quindi il pericolo per la City sarebbe rientrato. Certamente per gli euroscettici, sempre in salita nel Regno Unito man mano che ci si avvicina al voto del 7 maggio, sarà più difficile sostenere che oltre Manica ci sono solo nemici. E’ anche vero però, che per gli interessi della City peggiore dell’espansione del potere di sorveglianza e di fatto regolatorio della Bce sarebbe il danno di una ‘Brexit’: a quel punto sì che società come Lch Clearnet e Ice Clear Europe non avrebbero altra scelta che trasferire business a entità stabilite nella zona euro. Il vero male i britannici rischiano di farselo da soli.
I giudici europei hanno evidenziato un vuoto legislativo. E’ fondata l’esigenza della Bce di assicurare una adeguata supervisione e di gestire ‘alla fonte’ eventuali problemi di liquidità che potrebbero dover fronteggiare le ‘clearing house’. Da tempo i vertici Bce insistono sul fatto che la concentrazione delle controparti centrali ha creato entità sempre più grandi di importanza sistemica senza precedenti e che il fallimento di una ‘clearing house’ potrebbe condurre a una distruzione sistemica molto seria (Benoit Couré). Nel caso di un ‘default’ di un componente del sistema, perdite o carenze di liquidità possono diffondersi, infatti, agli altri partecipanti. Gli esperti indicano che pragmaticamente potrebbe essere stabilito una linea “swap” permanente tra Bce e Banca d’Inghilterra e/o con tutte le banche centrali dei paesi non euro. Una pratica usata a piene mani durante la crisi finanziaria. In cambio, la Bce potrebbe potrebbe essere coinvolta nella supervisione delle istituzioni coinvolte. Certamente le cose non potranno stare ferme a lungo.