Come atteso, dopo solo qualche ora i capi di Stato e di Governo della Ue hanno dato il via libera al piano Juncker: da giugno dovrebbe essere operativo il Fondo europeo per gli investimenti strategici. Obiettivo attrarre capitali privati per una operazione di finanziamento da 315 miliardi sulla base di 16 miliardi di garanzie Ue e 5 miliardi della Bei, il solo denaro fresco, sonante messo nel piatto. Restano varie incertezze. La prima è se davvero in un contesto di comportamenti deflazionistici (quasi uno sciopero degli investimenti) il fatidico effetto-leva 1 a 15 è un realistico. La seconda è la partecipazione diretta degli Stati al capitale del nuovo Fondo europeo, che ne rafforzerebbe la credibilità sul piano internazionale: nessuno ha assunto impegni precisi. Terza incertezza quanto sarà reso flessibile il patto di stabilità per promuovere gli investimenti: è proprio su questo punto che la discussione tra i Ventotto ha fatto emergere le solite divisioni, con la cancelliera tedesca pronta a delimitare i margini di manovra.
Il motivo per cui gli Stati non si pronunciano ancora con precisione o rimandano una indicazione è che non è chiaro in che modo la spesa per finanziare direttamente il Fondo per gli investimenti sarà scontata dai calcoli dell’indebitamento pubblico ai fini della valutazione dello stato dei bilanci e delle procedure europee di supervisione. L’impegno della Commissione è chiaro: non se ne terrà conto. Diversi governi, quello italiano in particolare, vogliono vedere le formulazioni e le indicazioni finali della Commissione. L’altra questione incerta riguarda il ritorno economico che avranno gli Stati che capitalizzano il Fondo: rientreranno nell’operazione progetti infrastrutturali nelle tlc, nell’energia, nei trasporti, nell’educazione di interesse nazionale?
Su entrambe le questioni la strada non è in discesa. Il rapido Vertice europeo ha mostrato che i Ventotto parlano lingue diverse. Di nuovo si sono confrontati “flessibilisti” e “rigoristi”. Stando al racconto di una fonte europea, la cancelliera Angela Merkel ha fatto di tutto per togliere dal testo delle conclusioni finali il riferimento alla posizione “favorevole espressa dalla Commissione” sui contributi di capitale degli Stati nel quadro della valutazione delle finanze pubbliche. Poi ha cercato di far inserire una formulazione sugli elementi di flessibilità permessi dalle regole del patto di stabilità. Un modo per arginare Matteo Renzi, che continua a ripromettere battaglia sull’esclusione della spesa nazionale per i progetti finanziati dalla Ue dai conti del patto di stabilità, e per tracciare dei rigidi confini alle linee guida sulla flessibilità delle regole di bilancio annunciate da Jean Claude Juncker per gennaio.
Fonti europee raccontano che il negoziato è stato piuttosto duro. Alla fine, il testo delle conclusioni indica che il Consiglio europeo “prende atto della posizione favorevole della Commissione”, ma aggiunge che tale posizione deve essere “necessariamente in linea con la flessibilità insita nelle norme vigenti” del patto. Necessariamente è un termine insolito e, infatti, non si trova nei precedenti documenti europei sul tema. Nella versione arrivata nel pomeriggio al tavolo dei Ventotto di tale riferimento non c’era alcuna traccia. In ogni caso, non compare nel testo finale l’affondo tedesco sui ‘confini della flessibilità’. Al solito tutti possono dire di non aver perso punti. Juncker ha comunque indicato che il testo conferma la linea della Commissione, Matteo Renzi si è dichiarato soddisfatto affermando che “è un primo passo, un passo avanti”. Il confronto si sposta sul dettaglio, si vedrà a gennaio.
Quanto alla ‘governance’ del Fondo per gli investimenti, non è chiaro quale sarà il meccanismo per rassicurare gli Stati che nessuno resterà a bocca asciutta. Il potere di decisione tecnica sarà della Bei (guidata dal tedesco Werner Hoyer): per Angela Merkel, ha detto lei stessa ai giornalisti, è la garanzia che i progetti infrastrutturali non saranno dettati da esigenze politiche. Dal canto suo Mario Draghi ha chiesto ai governi di non perdere tempo, finanziare i progetti con maggiore probabilità di ritorni economici elevati per sbloccare lo sciopero degli investimenti privati e non allentare l’impegno per le riforme strutturali. Anche per la Bce il tempo comincia a diventare un problema se si trova ad agire da sola.