La Commissione europea non ha ancora comunicato l’analisi di impatto delle sanzioni che l’Unione si appresta a decidere contro la Russia, obiettivi la chiusura del rubinetto finanziario europeo alle banche pubbliche, le vendite di armi, tecnologie sensibili per uso militare e civile (‘dual use’) comprese le tecnologie usate nel settore energetico. Da settimane economisti ed esperti sono al lavoro, ma sui risultati di tale lavoro non è emerso nulla. Uno degli aspetti più complicati della definizione del pacchetto di sanzioni economico-finanziarie, (a parte ovviamente l’aspetto politico principale che costituisce un salto di qualità nella crisi tra Unione europea e Russia) riguarda la ripartizione degli oneri sui paesi che le decidono. Nella prima fase dell’indurimento delle misure contro la Russia, per costringerla ad allentare le tensioni nell’Ucraina dell’est, la Ue esclude sanzioni sugli acquisti e di gas e petrolio e il blocco degli acquisti di titoli del debito pubblico russo essendo la Russia un buon acquirente di debito pubblico europeo. Una cosa però è certa: gli ultimi drammatici sviluppi della crisi ucraina stanno rischiando di minare ancor più la fiducia di imprese e famiglie sull’andamento dell’economia in Europa.
L’indicatore Ifo sul morale degli imprenditori tedeschi in netto peggioramento a luglio (per il terzo mese consecutivo) ha confermato che le tensioni geopolitiche hanno un peso rilevante per l’economia europea. Trattandosi del Grande Vicino europeo ed essendo la Ue fortemente dipendente dagli acquisti del gas russo, che ciò avvenga non deve sorprendere. Anche se non deve neppure preoccupare oltre una certa misura: l’indice Ifo è sceso a 108 punti, ma fino a quando resta sopra quota 100 vuol dire che la maggioranza delle imprese si dichiara relativamente ottimista. Però la crisi ucraina e la prospettiva di una lunga fase di sanzioni economiche della, che potrebbe essere seguita da contromisure russe, non peserebbero molto se il contesto economico fosse diverso. Invece l’Europa si trova vicino al bordo di una “lunga stagnazione”. Non è un caso se si moltiplichino le conferenze di economisti e politici sulle “lezioni del Giappone”, che ha vissuto una stagnazione economica pluriennale.
Il fatto che la Germania senta ormai direttamente il peso della domanda continentale stagnante significa una cosa precisa: si stanno disegnando tutti i contorni di uno scenario deflazionistico, o quantomeno, non si vedono segnali di allontanamento da tale rischio.
Diversi analisti indicano che in Germania l’incertezza sull’evoluzione della crisi ucraina ritarderà i piano di investimento delle imprese e le spese delle famiglie. Anche se queste ultime dovrebbero essere un po’ sostenute dall’attesa di una spinta dei salari. L’indice che misura il morale dei consumatori tedeschi è aumentato anche a luglio, però da tempo il loro morale migliora e una ripresa significativa delle spese di consumo non si è ancora verificata. Il Fondo monetario internazionale considera l’Eurozona un grande fattore di debolezza economica globale e per questo chiede che Bce e governi spingano l’acceleratore sul sostegno della domanda. La Commissione europea calcola che a politiche economiche (riforme strutturali) invariate i tassi di crescita nei prossimi dieci anni saranno “sostanzialmente più deboli” rispetto al ciclo pre-crisi: le proiezioni attuali danno una crescita del pil annuale nella Ue di circa 1,5%, un punto percentuale tondo tondo meno del periodo 1998-2007. Una crisi di lungo periodo tra Ue e Russia non è il toccasana di cui ci sarebbe bisogno. Così si sta diffondendo la convinzione che qualsiasi crisi di tipo geopolitico o derivante da fattori tecnologici o anche naturali (gli effetti di calamità naturali di un certo rilievo globale) è in grado di peggiorare le cose per l’Europa più di quanto accadeva in passato. Di qui la sensazione di estrema fragilità.
La Russia resta il terzo partner commerciale della Ue dopo Usa e Cina con 123 miliardi di merci esportate (7,3% di tutte le esportazioni europee), quarto posto dopo Usa, Cina e Svizzera, e 213 miliardi di beni importati nel 2012 (11,9% di tutte le importazioni Ue, seconda dopo la Cina). Ma è anche vero che la Ue è il principale fornitore della Russia con il 34% della quota di mercato seguita da Cina e Ucraina. La Russia è il fornitore singolo più importante di prodotti energetici per la Ue, che acquista da Mosca il 29% di tutto il petrolio e il gas consumati. D’altra parte, se i tempi della riduzione della dipendenza energetica Ue dalla Russia sono lunghissimi (fra i 5 e 10 anni), vale lo stesso discorso – per il flusso contrario – per la Russia, la cui economia è fortemente dipendente dall’esportazione di materie prime e le vie dell’esportazione non si sostituiscono dall’oggi al domani (nel 2012 il 76% delle esportazioni russe nella Ue era costituito da greggio, prodotti petroliferi e gas naturale).