La speranza è che alla fine della prossima settimana la tela per le nomine dei vertici Ue e soprattutto del presidente della nuova Commissione europea sia quasi pronta. L’attesa più realistica è che Herman Van Rompuy, il presidente dell’Unione anche lui in scadenza (a novembre), non ce le faccia e che, semmai, un accordo tra i governi da un lato e tra i governi e l’Europarlamento dall’altro lato arriverà sul filo di lana appena in tempo per il vertice Ue già fissato il 26 e il 27 giugno. Ma c’è già chi disegna uno scenario diverso, con David Cameron pronto ad allungare ancora di più i tempi. Ufficialmente tutti i principali leader coinvolti nella difficile trattativa (da Merkel a Renzi, da Cameron a Hollande) dicono che occorre l’accordo sulle politiche da fare e solo dopo sui nomi. Nella trattativa ‘vera’ che si svolge su più tavoli girano però pacchetti di proposte, per trovare un compromesso si scambiano continuamente i ruoli tra Commissione e Unione europea, tra il posto di “ministro” degli esteri al supercommissario all’economia e all’Eurogruppo. Socialisti e popolari del Parlamento confermano: il candidato Juncker non si tocca. Lo scontro sulle nomine non è una novità nella storia europea, è una novità che le divisioni politiche sulle grandi questioni di fondo della Ue siano così profonde.
E’ difficilissimo fare un elenco dei candidati alla presidenza della Commissione europea con la quotazione delle probabilità di successo dell’uno e degli altri. Si può dire che la situazione non è sostanzialmente cambiata rispetto a quindici giorni fa: Jean Claude Juncker è sempre sostenuto da Merkel e dal partito popolare. I socialisti lo sostengono, ma solo in prima battuta. Essendo il ’campione’ del Parlamento i gruppi politici che sono in grado di formare maggioranza (nessuno quindi del variegato fronte euroscettico ed eurofobico) lo difendono a prescindere. Juncker ha incontrato i gruppi e contattato molti governi: si è parlato di pacchetti di commissari in offerta per ottenere consensi. Negli ultimi giorni anche il presidente Ue Van Rompuy ha allargato il ‘giro’ dei colloqui al Parlamento, poi il giro nelle capitali, mercoledì sarà a Roma. Lo strano vertice in barca dei premier svedese, britannico, tedesca e olandese non sembra essere servito a molto se non a confermare ciò che era già chiaro: Svezia, Olanda e Regno Unito non vogliono Juncker. E neppure l’Ungheria lo vuole.
Le ipotesi del finlandese Katainen (Ppe) e della danese Thorning-Schmidt (socialdemocratica) sono sempre lì nel settore delle riserve che non fanno impazzire: Katainen è stato sempre uno degli ‘ossi’ più duri sugli aiuti alla Grecia, Thorning-Schmidt ha tanti pregi ma ha il grandissimo difetto di arrivare alla Danimarca che non adotterà mai l’euro. Si parla meno del premier irlandese Enda Kenny e di solito non si parla solo di chi può rilevarsi un candidato possibile a pochi metri dal traguardo. Si prova a scambiare le carte, cioè i posti, per vedere ciò che potrebbe accadere se si trasferisce Juncker nella casella occupata ora da Van Rompuy. La partita sui posti che contano in Commissione, presidente a parte, è strettamente legata alla composizione di un compromesso: Martin Schulz, presidente uscente del Parlamento e attuale negoziatore (sarà eletto presidente del gruppo Socialisti e Democratici ma è destinato a essere sostituito entro breve dall’italiano Gianni Pittella del Pd) punterebbe a diventare il supercommissario del settore economico. L’idea di una Commissione con responsabilità ripartite tra ‘grandi’ commissari con la supervisione di vari portafogli di cui sono responsabili altri colleghi non è ancora acquisita: potrebbe costituire una novità politica interessante, ma è netta l’opposizione dei paesi che presumono di avere posizioni considerate di serie B.
Cameron prosegue nel gioco pericoloso di addossare agli altri il possibile rifiuto dei cittadini britannici a continuare a far parte della Ue. Si dice che per evitare la soluzione Juncker (una delle ‘solite facce’ della politica europea, non un segno di cambiamento, perdipiù inguaribile federalista anche se cartamente un consumatissimo negoziatore che farebbe di tutto per non perdere per strada il Regno Unito) Cameron le tenterà tutte “pur di allungare il brodo”, indica un diplomatico europeo. Per questo si parla del ricorso al ‘compromesso di Lussemburgo’: si tratta di un accordo politico informale che risale al 1966 (della Cee facevano parte allora sei paesi) che pose fine alla cosiddetta “crisi della sedia vuota” dovuta alla decisione di De Gaulle di boicottare le riunione del Consiglio dei ministri in risposta alla proposta della Commissione di modificare la politica agricola, rafforzare il Parlamento europeo e la Commissione, estendere il ricorso al voto a maggioranza qualificata.
Il compromesso di Lussemburgo prevede che se sono in gioco “rilevanti interessi” di uno o più Stati, i membri del Consiglio “devono adoperarsi per giungere entro un congruo termine a soluzioni che possano essere approvate da tutti”. Non c’è da strapparsi i capelli: il compromesso esiste, ma il suo valore legale è molto debole trattandosi di una dichiarazione politica dei ministri degli esteri che non può modificare il Trattato e bloccare il voto a maggioranza qualificata su una nomina.
Le discussioni sulle priorità sono ancora indefinite. Non è ancora chiaro se e come (nel caso lo si decida) sarà rafforzata l’unione monetaria: le idee sono sul tavolo da tempo, tuttavia in alcuni paesi chiave non ci sono le condizioni per un approfondimento dell’integrazione politica e delle politiche a cominciare dalla Francia. Pur conservando il suo tradizionale ottimismo, in questi giorni Van Rompuy ha spiegato in modo molto chiaro quanto siano rilevanti le divisioni politiche e diversi i presupposti culturali tra i leader politici nella Ue. Non c’è accordo sulle responsabilità della crisi: debitori o creditori? crisi finanziaria importata dagli Usa o risultato di indebitamento pubblico eccessivo o ‘governance’ inadeguata dell’Eurozona? occorre temere l’inflazione (Germania) o la deflazione (Francia)? Un argine alla crisi, dopotutto, è stato pur trovato (a prezzi durissimi per i cittadini). “Solo due anni fa eravamo attenti a non usare il termine unione bancaria, ora l’abbiamo”, ha sottolineato van Rompuy aggiungendo che nessuno (nemmeno gli euroscettici o gli eurofobici) abbia contestato questa scelta nella campagna per le europee. Peccato che non ci sia molto “appetito” per cambiamenti istituzionali, peccato che, dice van Rompuy, “siano riapparsi i vecchi fantasmi della perdita di sovranità”. Sfortunatamente.