La richiesta del presidente Bce Jean-Claude Trichet ai governi di prevedere sanzioni ‘quasi automatiche’ per i paesi che violano le regole europee e nell’Eurozona anche la sospensione temporanea dei diritti di voto è destinata ad arroventare il negoziato sulla riforma del patto di stabilità. Non che non si sapesse che sulla disciplina di bilancio Trichet fosse un falco, ma l’appello non è casuale perché se c’è una cosa sulla quale i ministri dell’economia stanno litigando duramente è proprio sulla questione degli ‘automatismi’, dei criteri obiettivi in base ai quali far scattare le procedure europee stringendo le maglie della sorveglianza.
Oggi all’ordine del giorno non è il modo di rendere flessibile il patto di stabilità (come nel 2005), ma impedire che diventi un inutile ferrovecchio, prevenire le crisi di bilancio non limitandosi al tamponamento ex post quando i deficit sono sfuggiti al controllo. Un primo passo è compiuto: nel vertice del 16 settembre i capi di stato e di governo sanciranno che le ‘finanziarie’ nazionali dovranno essere analizzate e vagliate a livello europeo (nelle loro grandi linee e negli obiettivi di bilancio) prima che siano formalizzate e votate dai parlamenti. C’è un chiaro spostamento di sovranità: i parlamenti nazionali mantengono pienamente il potere di decidere ciò che vogliono sulla politica di bilancio e fiscale, ma dovranno assumersi chiaramente la responsabilità di fronte alle opinioni pubbliche, agli altri paesi Ue e ai mercati se dovessero andare in direzione contraria a quanto definito a Bruxelles. Tanto per dare un’idea del contesto politico, fra una decina di giorni l’Europarlamento voterà definitivamente a favore del sistema europeo di vigilanza finanziaria (contro le crisi sistemiche e per banche, assicurazioni e Borse). E’ un altro tassello dell’Europa post-crisi: lo si voglia ammettere o no, si tratta di decisioni storiche destinate a cambiare sostanzialmente gli equilibri dei poteri (nazionali) sui quali si è regolata fin qui l’economia e la finanza.
Sulla disciplina di bilancio, la Ue è in mezzo al guado: se dopo aver accettato il controllo preventivo sulle strategie di bilancio non riuscisse a chiudere sulle sanzioni per renderle efficaci e tempestive, addio ‘governance economica’ efficace. Non solo: deve concludere anche sulle regole da seguire per tenere sotto controllo i paesi ad alto debito (in prima linea ci sono Italia e Belgio oltre alla Grecia che però in questa fase è completamente fuori gioco). E’ questo l’altro scoglio del negoziato. Nel documento preparato dal presidente Ue Van Rompuy e presentato ai ministri economici (la famosa task force) è scritto: “Un certo grado di automatismo per avviare le procedure per deficit eccessivo (in relazione al debito pubblico – ndr) o imporre sanzioni viene considerato appropriato per rafforzare la sorveglianza”. A parole è così, in pratica no. Solo il cosiddetto ‘fronte del Nord’ (Svezia, Finlandia, Olanda) e la Germania sono apertamente schierate a favore di un certo grado di ‘automatismi’ e sostengono la necessità di definire parametri oggettivi sulla base dei quali far scattare procedure e sanzioni.
Dopo che l’Italia è riuscita a far riconoscere il principio di una valutazione della sostenibilità del debito secondo un concetto più ampio del mero debito pubblico, è stata definita una griglia di fattori da tenere in considerazione: maturità, struttura e denominazione (in quali valute) del debito pubblico, garanzie a imprese, istituzioni finanziarie e famiglie, riserve, spesa pensionistica e assistenziale futura, livello e dinamica del debito privato (solo “nella misura in cui può rappresentare un impegno implicito per il governo”, è scritto nel documento Van Rompuy), bilancio primario, inflazione, crescita, tassi di interesse, operazioni stock-flow (grandi e persistenti aggiustamenti legati a operazioni finanziarie possono portare a revisioni dei saldi di finanza pubblica). Ciò che i ministri non sono riusciti ancora a definire è il criterio guida con il quale viene valutato il debito pubblico prima di lanciare una procedura europea: in sostanza, come misurare “il ritmo di riduzione del debito pubblico” ritenuto “soddisfacente”. Secondo Van Rompuy e i ‘rigoristi’ va tenuto conto “del grado di vicinanza al 60% del pil” e va verificato se la distanza da tale livello “è temporanea e/o eccezionale”. Secondo i ‘flessibilisti’, tra cui l’Italia, la valutazione sulla sostenibilità/pericolosità del debito pubblico deve essere essenzialmente qualitativa.
Quanto alle sanzioni, l’ipotesi sulla quale si lavora prevede quelle politiche e quelle economiche. Le prime, in particolare la sospensione del diritto di voto nei consessi europei, richiedono un nuovo Trattato. Realisticamente non è per l’oggi. Resta la sospensione volontaria, ma è un’idea che non sta facendo molta strada neppure all’Eurogruppo. E sulle sanzioni economiche, in particolare sulla sospensione dei fondi di coesione Ue, si è già scatenato il fuoco di sbarramento: anticipando l’opinione dei paesi che beneficiano maggiormente dei fondi Ue, la Spagna ha annunciato battaglia.