LETTERA DA BRUXELLES Patto di stabilità: si gioca l’ultima carta, sanzioni solo nell’Eurozona

L’ultimo vertice europeo non è stato solo il teatro del duro attacco alla Commissione sulle espulsioni dei rom dalla Francia, è stata anche l’occasione per testare a che punto siamo con la riforma del patto di stabilità, sul negoziato per stringere le maglie della vigilanza sulle politiche di bilancio. Non se ne è parlato pubblicamente, ma l’argomento diventerà sempre più caldo. Anzi bollente. La riunione dei capi di stato e di governo ha confermato una cosa semplicissima: se c’è accordo sul cosiddetto ‘semestre europeo’, la vigilanza preventiva sugli obiettivi delle ‘finanziarie’ nazionali prima che queste vengano confezionate e varate da governi e parlamenti, il dissenso è profondo sulle modalità delle procedure per vincolare i paesi alla riduzione del debito pubblico e, soprattutto, sulle sanzioni contro chi non rispetta gli impegni europei e mette a rischio la stabilità finanziaria generale. Il presidente della Ue Van Rompuy ha presentato lo stato dell’arte del lavoro della ‘task force’ sulle idee e sulle valutazioni fatte con i ministri dell’economia, ma il confronto non è avanzato di un millimetro. E ora si profila anche il rischio che il mese prossimo, quando si riunirà di nuovo il Vertice Ue, non si raggiunga un accordo.



  Che il caso scotti lo ha dimostrato la decisione del presidente Bce Trichet di ‘strattonare’ i capi di stato e di governo nella riunione di Bruxelles. Stando a fonti bene informate, Trichet ha detto più o meno questo: qualche mese fa potevamo sostenere a ragione di avere dimostrato una straordinaria capacità di reazione alla crisi, di aver preso le decisioni giuste, ma sulla disciplina di bilancio il risultato finora è all’altezza della situazione, al momento siamo al di sotto del minimo necessario per gestire le politiche di bilancio ed economiche senza pericoli. In sostanza, il solo modo di far funzionare il controllo preventivo sulle ‘finanziarie’ affinché i governi tengano conto delle esigenze di stabilità dell’Eurozona e della Ue, non trucchino i conti alla greca, è mettere i “denti” al patto di stabilità, rendere effettive le sanzioni, sanzioni che devono essere sia economiche (sospensione fondi Ue) sia politiche (fino alla sospensione dei diritti di voto nei consessi europei). Comunque, le sanzioni vanno rese “semiautomatiche”. Bene, su questa linea il disaccordo è totale. Contrari alle sanzioni economiche sono i paesi che beneficiano dei fondi di coesione (in particolare i paesi del sud e quelli dell’est), la Francia esclude l’agricoltura, la Germania le vuole ma vuole anche le sanzioni politiche e, nel momento della sua massima difficoltà a far passare la linea di maggiore rigore nelle regole, chiede addirittura di aprire una seconda fase di riforma dopo ottobre per porre all’ordine del giorno la modifica del Trattato Ue, necessaria se si vogliono sospendere i diritti di voto. Al vertice di fine settimana Berlusconi ha sostenuto – stando a fonti Ue – che è ora di smetterla di parlare di sanzioni, l’Europa deve invece parlare di libertà. Non è dato sapere se questa è anche la linea seguita dall’Italia all’Ecofin dal momento che sui termini concreti del negoziato in corso e sulla sua posizione il ministro Tremonti non ha mai voluto fornire pubblicamente indicazioni.
 Si corre dunque il rischio di una riforma del patto di stabilità forte nella parte della prevenzione, debolissima nella parte ‘repressiva’ o, per usare termini più diplomatici, senza disincentivi economici o politici a violare le regole di bilancio. A questo punto fa capolino un’idea alla quale sta lavorando il presidente Ue Van Rompuy: vista l’impossibilità di un accordo a 27 su tutta la materia e vista l’impossibilità di prevedere sanzioni politiche in tempi rapidi (non dimentichiamo che siamo ancora nel pieno della crisi ‘fiscale’ aggravata dalla recessione), l’idea è trovare un accordo per la sola Eurozona sfruttando l’articolo 136 del Trattato, che permette ai paesi euro di “rafforzare il coordinamento e la sorveglianza della disciplina di bilancio”. In questo quadro può essere rafforzato il sistema di sanzioni economiche, rendendolo più efficace. La stessa Commissione, che rivelerà le sue proposte a fine mese, sta lavorando in questo senso.
 Difficile capire quanto siano ampi i margini di manovra: sarebbero d’accordo Germania, Olanda e Francia (purchè non si parli di agricoltura), l’Italia non si sa (il no di Berlusconi è stato chiaro, ma è possibile che a livello di Ecofin le cose si mettano diversamente se Tremonti riuscirà a far passare un certo grado di flessibilità per le procedure europee che prenderanno di mira il debito pubblico). La Spagna è ferma nella difesa dei fondi di coesione, Grecia e Portogallo pure. Poi ci sono i paesi fuori dall’Eurozona. Quelli che prevedono entro qualche anno di adottare l’euro, la Polonia per esempio, alzano la paletta rossa: non si può decidere senza di noi. Il Regno Unito è sulla linea: è affar vostro (ma sotto sotto non gradisce un rafforzamento politico dell’Eurozona). Insomma, anche la decisione per i Sedici dell’euro (17 dal primo gennaio con l’Estonia) è tutta in salita.