I ministri europei delle finanze hanno deciso di discutere della situazione sociale con i loro colleghi responsabili del lavoro (a Bruxelles il 12 marzo): l’ordine del giorno della riunione congiunta cita gli investimenti sociali e le riforme per rendere l’economia resiliente. È rara una riunione congiunta dei titolari della “borsa” dei governi e dei ministri che si occupano delle politiche del lavoro, alle prese con regole da verificare e riformare, sempre più spesso di tamponare complesse ristrutturazioni, crisi industriali e di interi comparti. Un esempio fra tutti, l’automobile. “Lo scopo è garantire che le politiche di bilancio con nuove regole appena concordate e le politiche sociali siano coerenti, con una sempre maggiore attenzione alla resilienza sociale”, indica una fonte diplomatica europea coinvolta direttamente nella preparazione delle riunioni ministeriali.
Non ci sono allarmi particolari in vista: d’altra parte la disoccupazione resta ai minimi (6,4% nell’area euro, 6% nella Ue), l’occupazione continua a crescere anche se a dente di sega e negli ultimi trimestri nonostante la crescita economica piatta. Tuttavia risulta evidente la preoccupazione che l’armamentario di regole (patto di stabilità) e di misure di sostegno alla ristrutturazione dell’industria (attraverso i vari Pnrr) non siano sufficienti a fornire le risorse necessarie a far fronte agli effetti sociali della doppia transizione verde e digitale, della “militarizzazione” dei bilanci pubblici per sostenere il riarmo a livello europeo nell’ambito degli impegni Nato e per la sicurezza continentale. Così come risulta evidente la preoccupazione per la possibilità che si diffondano proteste di singoli settori e categorie particolarmente esposti in questa fase, sulla scorta delle agitazioni degli agricoltori che hanno preso di mira sia governi che avevano ritirato specifiche deroghe fiscali (è il caso anche dell’Italia) sia – contemporaneamente – le politiche europee, dalla Pac (politica agricola comune) agli obiettivi del Green Deal.
C’è chi ipotizza, per esempio, l’emergere di proteste contro la ristrutturazione “verde” delle abitazioni, che potrebbero coinvolgere grandi città in diversi paesi. Il fatto che questo avvenga (o possa avvenire) in una fase pre elettorale può costituire un ulteriore fattore di estensione della protesta. Diversi partiti, specie di destra estrema, cavalcano la protesta (è accaduto in Francia e in Germania per gli agricoltori): d’altra parte la velocità con la quale la Commissione europea, con il sostegno dei governi o su pressione dei governi, ha reso flessibili alcune regole della Pac per placare la “protesta dei trattori”, è indicativa della permeabilità del “potere” Ue in questa fase. Prima dei trattori c’erano stati i “gilet” gialli francesi e ora ci si chiede a chi toccherà il prossimo giro di proteste. E ci si chiede anche se sia a rischio la tenuta sociale, che ha caratterizzato l’Europa dalla pandemia e continua a essere mostrata anche dai dati su disoccupazione e occupazione pur in una fase di prolungata stagnazione economica. C’è chi intravede “il rischio di una decomposizione della resilienza sociale che appare essere data troppo per scontata”, indica una fonte politica europea.
Un altro elemento che ha il suo peso riguarda le regole di bilancio riformate: è indubbio che garantiscano più spazio agli investimenti rispetto alle precedenti e forniscano più tempo agli stati maggiormente indebitati (come l’Italia) per ridurre il debito è indubbio, nondimeno si tratta di spazi che aprono solo dei margini di manovra nei bilanci pubblici nazionali che non saranno in grado di soddisfare la necessità di finanziamenti pubblici che facciano sul serio la differenza su scala continentale. Oggi il commissario all’economia Paolo Gentiloni ha riconosciuto che trovare l’equilibrio tra consolidamento di bilancio (nei paesi altamente indebitati) e sostegno agli investimenti non sarà facile.
Tutto questo è già chiaro e non a caso Mario Draghi nell’incontro con i ministri finanziari di venti giorni fa ha fatto riferimento alla necessità di seguire un “approccio europeo” al tema dei finanziamenti che dovrebbe riguardare non solo i privati ma anche soluzioni comuni. La posizione di Draghi è nota e così l’ha espressa in un recente intervento alla Economic policy conference a Washington: “In Europa, dove le politiche fiscali sono decentralizzate, possiamo anche fare un passo avanti finanziando più investimenti collettivamente a livello dell’Unione. L’emissione di debito comune per finanziare gli investimenti amplierebbe lo spazio fiscale collettivo a nostra disposizione, alleggerendo alcune pressioni sui bilanci nazionali”.
In ogni caso non ci sono segnali che i governi Ue vogliano procedano in tal senso: per esempio nel manifesto elettorale del Ppe, che dovrebbe riconfermarsi come primo partito al voto Ue, il tema è eluso. Berlino resta fermamente contraria a finanziare collettivamente con l’emissione di debito comune perfino le spese per la difesa, considerata per altro verso una emergenza politica. Può darsi però che l’accavallarsi delle esigenze di finanziamento pubblico per attrarre capitali privati da un lato e il prolungarsi delle due guerre in corso (Ucraina e Gaza) con i ricaschi negativi anche sui commerci europei (blocchi sul Mar Rosso) obblighino a proseguire sulla strada del Next Generation EU.