Sull’inflazione l’Eurogruppo naviga a vista, no decisioni concrete sull’unione bancaria

Per quanto le domande sul prossimo futuro dell’economia e sulla riforma delle regole di bilancio siano molte, non sarà una riunione dalle grandi decisioni quella dell’Eurogruppo lunedì 6 dicembre nella capitale belga. In attesa che a Berlino si insedi il nuovo governo e che si “apra” davvero il tavolo del negoziato sul patto di stabilità, cosa che avverrà solo dopo marzo 2022, non resta che prendere tempo. E continuare a navigare a vista. D’altra parte, a prendere tempo è la stessa Bce alle prese con un tasso di inflazione sempre in crescita ai massimi da una trentina d’anni a quota 4,9% a novembre. I ministri finanziari si trincereranno dietro l’analisi della banca centrale. Riparandosi dietro la “gobba” di cui ha parlato Christine Lagarde che ieri ha detto: “Vediamo l’inflazione come una gobba e alla fine la gobba diminuisce, diminuirà nel corso del 2022”. Il presidente dell’Eurogruppo Pascal Donohoe ha convocato a cena i ministri finanziari per rinverdire l’impegno politico a completare l’unione bancaria dato che il negoziato sulla creazione di un sistema europeo di assicurazione dei depositi è bloccato da un paio d’anni: l’obiettivo è dare impulso politico, non di arrivare a decisioni. Anche su questo si prende tempo.

Il tema del completamento dell’unione bancaria è uno degli scogli politici che l’Eurogruppo non è riuscito a superare. Per la Bce e le altre autorità bancarie, dall’Eba al Board della risoluzione, l’assenza di una solida unione bancaria può essere una fonte di rischi. Lo scoglio in effetti riguarda un elemento delicato di questa “architettura”: la creazione di un sistema unico di ultima istanza per assicurare i depositi. Strumento da utilizzare quando gli Stati non hanno sufficienti risorse a disposizione per fronteggiare una situazione di crisi. La Bce non perde mai occasione di ricordare che l’assenza di questo strumento indebolisce la credibilità dell’intera costruzione dell’unione bancaria. Il “nodo” politico è sempre lo stesso: l’equilibrio fra riduzione dei rischi bancari e la loro condivisione tra gli Stati in situazioni limite. Dei primi fanno parte senza dubbio i “non performing loans”, peraltro in calo fino a prima della crisi pandemica e poi “tamponati” dal sostegno pubblico all’economia. Ma fa anche parte l’esposizione delle banche al debito sovrano nazionale, che poi è il vero motivo di scontro che chiama in causa la gestione dell’indebitamento pubblico in Paesi chiave dell’area euro a cominciare dall’Italia. È un fronte sul quale si sono misurati fin dall’inizio i governi dei Paesi del Nord compresa la Germania, spalleggiati da alcuni dell’Est, e i governi dei Paesi del Sud, specie Italia e Spagna e in parte Francia. I primi temono di doversi sobbarcare le “eredità del passato” delle banche dei secondi; questi ultimi sostengono che la condivisione dei rischi bancari è condizione essa stessa di una riduzione dei rischi, non può esserci un “prima” e un “dopo”.

I 27 capi di Stato e di governo avevano dato mandato all’Eurogruppo di trovare un accordo, ma non ci sono state novità negli ultimi mesi. Né ci saranno lunedì: il ministro irlandese Donohoe proporrà ai ministri di dare uno slancio alle discussioni sul tema per poter scrivere nella lettera al Consiglio europeo, convocato per metà dicembre, che l’impegno politico a proseguire il negoziato viene confermato e “politicamente” rafforzato. Dato che non ci si aspetta saranno indicate scadenze per trovare un accordo, per ora si pesta un po’ di acqua nel mortaio, si prende tempo. Tanto più che a Berlino il nuovo governo Spd-Verdi-Fdp non si è ancora insediato. Il calendario politico europeo poi comprende le presidenziali francesi ad aprile, ma questo non dovrebbe incidere sulla “questione bancaria”, tuttavia si spera in quello che una fonte Ue indica come “nuovo impulso politico” a una questione sospesa da troppo tempo e di importanza vitale per la credibilità dell’unione monetaria.

Una fonte tecnica rileva che è difficile si possa giungere a un accordo fino a quando non sarà chiara la situazione in cui si trovano le banche europee, la cui “protezione” in termini di patrimonio non desta preoccupazioni (questo il giudizio di Bce ed Eba), ma che restano in qualche modo ostaggio degli effetti di medio periodo della crisi sulle imprese, oggi attutiti dai sostegni pubblici. Inoltre, l’esposizione al debito sovrano è anche tema legato alle scelte generali della Bce sugli acquisti di titoli sul mercato.

Sul tavolo dell’Eurogruppo resta sempre il tema della riforma delle regole di bilancio, ma – anche qui – non ci saranno passi avanti. Una fonte Ue coinvolta nella preparazione delle riunioni dei ministri finanziari ha indicato oggi che “c’è un grado di consenso molto elevato sulle necessità economiche generali che il nuovo quadro deve soddisfare e non è mai avvenuto negli ultimi 25 anni, c’è consenso sul fatto che la stabilità non può andare a detrimento della crescita, ma sul modo in cui concretamente ciò si traduce in regole ancora non ci siamo”. I ministri in ogni caso discuteranno dell’orientamento “fiscale” dell’area euro (ci sarà il rapporto del Fondo monetario internazionale) e delle leggi di bilancio 2022. Tra i punti che saranno sollevati l’aumento della spesa corrente in Paesi ad alto debito come sottolineato dalla Commissione europea, il cui “mezzo allarme” ha lo scopo di stimolare una “riflessione profonda” a livello nazionale sulle mosse da compiere. Tema che è esplicitamente sollevato anche per l’Italia.

Ci si chiede in quale misura il programma del nuovo governo tedesco, che non chiude la porta a interpretazioni più elastiche delle regole di bilancio date le grandi necessità di investimento generalizzate nella Ue, e anche il trattato bilaterale Italia-Francia aiutino i negoziati politici all’Eurogruppo sia sull’unione bancaria sia sulla riforma del patto di stabilità. “Poniamola così: rispetto a questi due fattori non ci sono motivi perché ci si senta scoraggiati”, ha detto la stessa fonte Ue.

Sulla situazione dell’economia l’Eurogruppo indicherà di trovarsi sulla stessa linea della Bce e della Commissione europea: la ripresa continua, è forte, deve continuare il sostegno “fiscale” all’economia anche se più mirato (in altre parole leggermente meno espansivo nel 2022 rispetto al 2020-2021, ma pur sempre espansivo). Massima attenzione all’inflazione, specie per quanto concerne i cosiddetti “effetti di secondo round”, per monitorare strettamente se si caricherà una ondata di aumenti salariali che potrebbe fare la differenza sulla manovra monetaria. Su questo l’Eurogruppo sceglierà di porre una maggiore enfasi rispetto al passato. In ogni caso, la stessa Bce non vede per segnali di “secondo round”. Di certo l’Europa non si sta ingaggiando in una rincorsa della Federal Reserve.