Rischi di protezionismo e incertezza politica, scatta l’allarme per l’economia

L’aumento del protezionismo e l’accresciuta incertezza dovuta alle conseguenze politiche della reazione alla globalizzazione potrebbero avere “effetti economici rilevanti”. L’indicazione o, meglio, l’allarme, è della Commissione europea. Non è in sé una novità ma è una novità che sia considerato tra i fattori fondamentali tenuti in considerazione per le stime macro-economiche pubblicata a metà settimana. E’ la dimostrazione che l’attenzione dei ‘policy maker’ europei si sta spostando sempre più sul ‘sociale’ e sul ‘politico’, tanto sono parziali meno sicure le piste abbozzate dai sofisticati scenari economici e dalla analisi econometriche.

E’ significativo che una buona parte dell’analisi contenuta nel rapporto di previsione comunitario sia dedicata alle ragioni sociali e politiche che stanno dietro la crescita che resterà “modesta” nel 2017 e nel 2018: nella zona euro all’1,7% quest’anno, all’1,5% nel 2017 e all’1,7% nel 2018. Ci sono delle ragioni economiche ‘classiche’, beninteso: le condizioni eccezionalmente favorevoli derivanti dai prezzi delle materie prime bassi, dal deprezzamento dell’euro e della politica monetaria molto accomodante “si stanno esaurendo”. A queste se ne aggiunge un’altra classicissima: l’indebolimento della crescita globale e il rallentamento del commercio internazionale, due fattori che peraltro si sono già fatti sentire. La crescita globale dovrebbe raggiungere il livello più basso dal 2009 (3,2% quest’anno, 3,7% nel 2017, 3,8% nel 2018).

Nel dettaglio, va rilevato come sebbene l’euro resti a livello relativamente basso, l’effetto positivo del deprezzamento di inizio 2015 si è già fatto sentire in buona misura sulle esportazioni e sulla crescita. Infatti, dopo lo scatto delle quote di mercato nel 2015, le prospettive per quest’anno sono piatte e un calo marginale delle esportazioni è atteso per il 2017. Quanto alla politica monetaria, se da un lato Draghi continua a confermare che il QE (quantitative easing) andrà avanti, secondo gli economisti di Bruxelles “la spinta principale proveniente da tali misure potrebbe già essersi vista in particolare in connessione al deprezzamento dell’euro”. E d’altra parte “più le condizioni finanziarie favorevoli persistono più viene attribuita importanza in termini relativi ad altri fattori determinanti per le decisioni di investimento: andamento della domanda e rischi possibili”. Sarà un tantino irrazionale, ma così è. Naturalmente c’è Brexit e qui il discorso è chiuso, nel senso che nulla si può prevedere e dire senza sapere quale sarà l’impostazione del negoziato da parte britannica, poi quanto durerà il negoziato e quale sarà il compromesso. Più dura l’incertezza su questo, più durerà l’incertezza sull’impatto economico di Brexit.

La Commissione appare convinta di una cosa: l’ondata anti-globalizzazione, l’arretramento delle condizioni che ne hanno fatto il tratto dominante della crescita economica (e delle relazioni internazionali) degli ultimi 25 anni, e la reazione di molti governi che stanno rafforzando questo contraccolpo (‘backlash’ viene chiamato nel rapporto comunitario), sono diventati a tutti gli effetti fattori determinante per l’economia della zona euro e del tipo di risposta di politica economica dei governi nazionali.

In poche righe la Commissione sintetizza qual è il problema. Negli ultimi dieci anni, il dibattito sulla globalizzazione era stato in qualche misura oscurato dalla crisi finanziaria, dalla recessione e dal rischio di rottura nella zona euro a causa della crisi del debito sovrano: negli ultimi anni però le proteste anti-globalizzazione si sono nuovamente rafforzate (diventando una variabile fondamentali per le decisioni politiche nazionali e non solo).

Se ne è avuta la conferma con il blocco vallone dell’accordo commerciale Ue-Canada (poi superato). In parallelo, scrive la Commissione, “l’aumento della mobilità del lavoro all’interno della Ue e il flusso di richiedenti asilo hanno aggiunto il problema della migrazione” in una dimensione drammatica (per gli standard Ue). E proprio l’immigrazione è stata uno dei fattori chiave del voto pro Brexit (anche indipendentemente dal peso specifico degli ‘arrivi’ nelle aree in cui Brexit ha trionfato).

Negli ultimi due anni c’è stato un peggioramento netto della percezione degli effetti negativi del commercio: in un sondaggio Pew del 2014, gli scambi erano considerati una buona cosa dal 68% degli americani, però solo per il 20% creava posti di lavoro e per il 17% aumentava i salari. In Germania e Regno Unito i valori più positivi: nella prima commercio buono per il 90%, creatore di posti di lavoro per il 43% e di salari più alti per il 28%; nel secondo rispettivamente 88%, 50%, 34%. In Francia 73%,24% e 14%. In Italia i valori meno positivi: commercio “buono” per il 59%, creatore di lavoro per il 13%, fattore di salari migliori solo per il 7%.

Chiaro che è stato abbondantemente sottovalutato il lato B della globalizzazione: l’aumento della disuguaglianza, lo spiazzamento di interi settori di forzalavoro, l’aumento dei rischi di progressiva caduta del reddito in termini reali. Colpa anche degli economisti: “La loro difesa della globalizzazione spesso si astrae dal modo in cui sono distribuiti i benefici in termini aggregati”, indica il rapporto. Il rischio di oggi è che il “contraccolpo” contro la globalizzazione “possa smorzare ulteriormente la crescita del commercio già indebolita e nello stesso tempo aumenti l’incertezza politica che a sua volta può smorzare la domanda interna”. La cosa certa è che “lo scontento per la globalizzazione è diventato più acuto” e non si può più non tenerne conto. Anche nel momento in cui si elaborano stime di crescita del pil.

Un economista americano, Dani Rodrik, ha indicato come integrazione economica internazionale, sovranità nazionale e democrazia costituiscano un ‘trilemma’ impossibile dato che il perseguimento di mercati aperti mantenendo la sovranità nazionale piena cozza contro il rispetto dei principi democratici (quindi delle soluzioni indicate dall’elettorato). La soluzione europea è che, è scritto nel rapporto comunitario, “tra stati democratici l’integrazione economica può essere salvaguardata solo condividendo alcuni aspetti della sovranità”. Aspetti sempre più importanti. Il problema è che proprio questa soluzione a essere sotto tiro.