Ripresa degli investimenti trainata da Spagna, Germania e Francia

Gli investimenti delle imprese nella zona euro sono tornati ai livelli pre-crisi del 2008 e ciò è stato determinato “in misura considerevole” da Germania, Spagna e Francia con “un contributo limitato dell’Italia”. E’ quanto indica la Bce nell’ultimo Bollettino economico in un’analisi dell’evoluzione degli investimenti nell’unione monetaria. La banca centrale è cauta sul futuro: se da un lato si dichiara ottimista perchè gli investimenti complessivi dovrebbero beneficiare anche dei margini di profitto in aumento e della necessità di sostituire il capitale dopo anni di modesti investimenti fissi, la loro crescita potrebbe risultare frenata dalla necessità di ridurre la leva finanziaria e dal contesto sfavorevole all’attività di impresa in alcuni paesi. Brexit, poi, potrebbe fare la differenza: le incertezze legate alle future relazioni tra la Ue e il Regno Unito e le potenziali implicazioni per l’economia dell’area dell’euro potrebbero gravare sulle prospettive di investimento.

Nel Bollettino Bce viene pubblicato un grafico dal quale appare chiaramente il contributo dei vari paesi della zona euro all’evoluzione degli investimenti reali delle imprese. Fra il primo trimestre 2013 e il secondo trimestre 2016 il paese che ha dato il contributo maggiore è stata la Spagna seguita da Germania, Francia, Olanda e, in coda, l’Italia a un livello pari alla metà del contributo olandese. Il rapporto tra investimenti in termini reali delle imprese e valore aggiunto ha ora superato la media di lungo periodo e ciò significa che una serie di fattori positivi anti-ciclici, non certo ultima la politica monetaria espansiva condotta dalla Bce, hanno agito in profondità e oggi se ne può avere una prova. L’incidenza degli investimenti è stata generalmente più elevata in Germania e Spagna rispetto alla Francia, paese nel quale è maggiore l’intensità dei servizi.

L’analisi della Bce è interessante perché dà il senso di un cambiamento nelle condizioni che favoriscono gli investimenti che potrebbero essere duraturo e, forse, potrebbero reggere in prospettiva in uno scenario in cui sarà gradualmente superato l’accomodamento monetario (scenario che fortunatamente non è per l’oggi). “Nell’area dell’euro – scrivono gli economisti della banca centrale europea – il calo delle aspettative di crescita del pil a lungo termine, che ha accelerato nel corso della crisi contribuendo probabilmente alla diminuzione degli investimenti, sembra essersi fermato negli ultimi anni”.

Un impatto “significativo” sulle decisioni di investimento lo hanno esercitato le condizioni della domanda, la riduzione della capacità produttiva utilizzata e il miglioramento degli utili societari. Quest’ultimo indica che le imprese sono maggiormente in grado di finanziare gli investimenti con fondi interni invece di ricorrere al debito. Si tratta di un fenomeno generalizzato in tutti i grandi paesi della zona euro che indica come risorse liquide possono essere usate rapidamente se ci fossero opportunità di investimento. L’incremento degli utili non distribuiti è dovuto al calo dei pagamenti netti per interessi, ai salari moderati e alla frenata nel versamento dei dividendi. Infine c’è un quarto fattore: si è ridotta “in misura significativa” l’elevata incertezza finanziaria che induceva le imprese a rinviare decisioni di investimento.

Tutta l’analisi del Bollettino mira a evidenziare come le misure espansive di politica monetaria abbiano permesso di garantire condizioni di finanziamento delle società non finanziarie sostenendo gli investimenti dallo scoppio della crisi. Il costo nominale complessivo del finanziamento esterno ha seguito una tendenza al ribasso dal 2012 collocandosi su un livello “storicamente contenuto”. Mentre l’andamento del costo del capitale di rischio è stato a dente di sega (nel 2016 si colloca in ragione d’anno fra il 7% e l’8%), il costo complessivo di finanziamento ha registrato una tendenza costante al ribasso dall’inizio del 2012 portandosi a metà del terzo trimestre 2016 poco sopra il 4%. Attualmente, l’indicatore del costo nominale dei prestiti nel lungo termine e nel breve termine è poco sotto il 2% mentre per il costo del capitale di rischio è sopra l’1%.

Tuttavia la Bce riconosce che “malgrado il livello molto contenuto dei tassi di interesse, il canale di trasmissione delle politica monetaria ha incontrato ostacoli durante la crisi, visto che le imprese non sono riuscite a beneficare appieno dei bassi tassi di interesse per incrementare gli investimenti”. Le banche hanno infatti ristretto in misura marcata i criteri di concessione del credito tra metà 2007 e inizio 2009 e di nuovo fra metà 2011 e inizio 2012. Inoltre l’aumento del credito alle imprese non finanziarie della zona euro si è ridotto anche tra il 2012 e il 2014. Da allora, però, ha preso quota l’ondata di rafforzamento patrimoniale delle banche. E ora ci sono segnali che a Francoforte vengono giudicati incoraggianti: l’indagine congiunturale Bce-Commissione Ue fondata sulle risposte delle imprese sull’andamento degli investimenti relativa al periodo aprile 2014-marzo 2016, mostra che “i vincoli di credito si starebbero allentando”.

L’indicatore sulle imprese soggette a vincoli di credito (si tratta di imprese che hanno presentato una richiesta di prestito in banca o una linea di credito che è stata respinta totalmente o parzialmente, che hanno rifiutato il prestito a causa dei costi eccessivi o sono state scoraggiate a chiederlo pur ritenendolo necessario) si trovava a marzo all’11% per le piccole e medie imprese e al 6% per le grandi imprese, in calo dal 16% e dall’8% rispettivamente nel marzo 2014.

Tutto a posto, dunque? No, risponde la Bce: l’impatto negativo dei vincoli finanziari (trovarsi in una di quelle tre condizioni indicate prima) continua a pesare sulle decisioni delle imprese, gli investimenti “potrebbero essere ancora frenati da una carenza di finanziamento”, tuttavia l’effetto dei vincoli finanziari “negli ultimi anni è diminuito”. Altro segnale che la situazione non è stagnante riguarda la disponibilità di prestiti bancari e di scoperti di conto corrente: a livello aggregato per la zona euro dal primo semestre 2015 è in lento aumento. La disponibilità di prestiti bancari aumenta del 5% la probabilità di un aumento degli investimenti mentre l’impatto del contesto economico generale è contenuto a non più del 3%. La persistenza di vincoli di credito, invece, indica la Bce, genera effetti negativi considerevoli sugli investimenti riducendo la probabilità di un loro aumento del 7%.