Eurogruppo tace su Brexit, il Fondo monetario chiede una svolta politica coraggiosa

A Lussemburgo  ministri finanziari della zona euro non hanno voluto parlare pubblicamente Brexit. Neppure la direttrice del Fondo monetario internazionale ne parla. Alla notizia della morte della deputata laburista Jo Cox, assassinata a Leed, l’Eurogruppo si ferma per un minuto di silenzio. Se già non c’era voglia di parlare di Brexit prima dell’avvio della riunione, ora ce n’è anche meno. Per rispetto del dramma britannico. Il presidente dell’Eurogruppo Disselbloem ha auspicato a nome di tutti i ministri che gli elettori britannici “possano fare le loro scelte in modo pacifico”. Non ci sono indicazioni concrete sul ‘che fare’ in caso di Brexit, che sarebbe il più grave choc politico, istituzionale e culturale in Europa dall’avvio del processo comunitario. Alla fine Mario Draghi non è arrivato a Lussemburgo. C’era, però, Christine Lagarde, che propone una coraggiosa via “politica” al superamento dell’”impasse” dell’unione monetaria e per fronteggiare i rischi di destrutturazione europea in caso di Brexit: risorse comuni centralizzate per gestire le crisi (anche dei migranti) in cambio di rigore sulle regole di bilancio. Dijsselbloem si limita a parlare di “passi avanti” senza prendere impegni precisi.

E’ al massimo grado la preoccupazione dei ministri per il quadro europeo di giorno in giorno più complicato e apparentemente ingestibile, stanti le profonde divisioni politiche sulle strade da seguire in troppi campi: bilanci pubblici, migranti, sicurezza, completamento dell’unione bancaria. Ogni fronte che si complica, complica automaticamente l’effetto della politica monetaria della Bce, che già non riesce a riportare l’inflazione a livelli tali da tornare a qualcosa che si avvicini alla “normalità economica”.

La coincidenza del rischio di disarticolazione politica dell’Unione europea con gli attacchi terroristici (le minacce di azioni di singoli terroristi ‘ispirati’ e non solo diretti dall’Isis, per esempio a Bruxelles) e ora l’uccisione di una esponente politica anti-Brexit; le divisioni profonde sulla gestione dei flussi di rifugiati con una parte degli Stati dell’Est avversa alla ‘ripartizione solidale’; le divisioni nord-sud sulle politiche di bilancio; la paralisi politica sulle scelte future a causa delle elezioni in Olanda, Germania e Francia (presidenziali) nel 2017: tutto questo sta avvenendo contemporaneamente. Ha formato un fronte di crisi troppo ampio e la Ue non ha gli strumenti politici per farvi fronte.

La lettura del documento sulla zona euro del Fmi è molto istruttiva: ci sono più indicazioni squisitamente politiche, non è la classica sequenza di prescrizioni economiche. Da tempo sulla via di una riflessione critica sulle ricette seguite, il Fondo monetario mette il dito sulla piaga affermando che le crescenti divisioni politiche e l’euroscetticismo “hanno indebolito le prospettive di azioni collettive”. Dato che queste sono necessarie per fronteggiare crisi comuni con risorse comuni, il rischio che la zona euro sia sempre più vulnerabile non è una lontana probabilità. Il Fondo monetario avverte che non c’è tempo: i rischi sono molteplici mentre lo spazio politico per agire è “limitato”.

Lagarde sponsorizza apertamente la scelta di mettere in comune risorse, ‘pezzi’ di bilancio. Occorre andare oltre il piano Juncker per gli investimenti. Mobilitare risorse comuni (verso un Tesoro della zona euro) per obiettivi condivisi: anche per gestire la crisi dei migranti (c’è sintonia con le posizioni italiane). Unica condizione: non fare i furbi con le regole sui bilancio perché la condivisione dei rischi può reggersi solo sul rispetto degli accordi.

Il ministro olandese Dijsselbloem, che ‘guida’ l’Eurogruppo, cerca di rassicurare sul fatto che c’è consenso sui passi futuri da compiere verso più integrazione nella zona euro. Però dice anche che non bisogna aspettarsi (anche in caso di vittoria di Brexit) “decisioni drammatiche”. D’altra parte, qualche giorno fa, il ministro delle finanze tedesche Schaeuble ha detto: “Non potremmo come risposta a Brexit promuovere più integrazione: sarebbe stupido, molti si chiederebbero legittimamente se i responsabili politici abbiano capito ciò che vogliono i popoli europei oggi”. Lo spazio politico per innovazioni coraggiose, appunto, è limitato.