Ripresa moderata, più rischi sul futuro di quanto previsto solo quattro mesi fa, giudizio sempre sospeso sull’Italia e le sue richieste di flessibilità sui conti pubblici. In sintesi questo è il quadro offerto dalle nuove stime macroeconomiche della Commissione europea e dalle dichiarazioni del responsabile degli affari economici Pierre Moscovici. Il governo, che ha chiesto una risposta rapida sul quadro di bilancio per ancorare le aspettative, dovrà aspettare ancora tre mesi: Bruxelles deciderà solo a fine maggio su valutazione definitiva della ‘finanziaria’ 2016, flessibilità e rispetto regola del debito, anche sulla base del programma di stabilità che metterà nero su bianco la strategia di finanza pubblica italiana a medio termine (deve essere inviato a Bruxelles a metà aprile). La partita Roma-Bruxelles durerà ancora a lungo.
Non ci sono novità sostanziali nell’analisi dell’Italia presentata oggi nel rapporto comunitario. I messaggi possono essere ridotti a due. Il primo è il peggioramento del deficit in termini strutturali nel 2016, dopo che era migliorato marginalmente l’anno scorso. Il secondo è che la partita della flessibilità è in parte ancora in aria e in aria resterà ancora per un po’, indipendentemente dalle pressioni che arrivano dall’Italia (che a Bruxelles sono viste con sempre crescente preoccupazione anche dagli esponenti più ‘amici’). Le due cose insieme sono, ovviamente legate. L’attesa fino a maggio è argomentata dalla Commissione europea con il calendario del ‘semestre’ di ‘governance’ economica. E’ a maggio, infatti, che presenta le raccomandazioni paese per paese, che si fa il punto su tutto, dalle finanze pubbliche al profilo e alle misure economiche strutturali. Non è un ghiribizzo tecnocratico inventato da Palazzo Berlaymont (dove ha sede la Commissione), ma un percorso voluto, sottoscritto e sancito da tutti gli Stati membri.
Nell’”imbuto” di maggio finirà tutto il caso italiano: la legge di bilancio 2016 che Bruxelles aveva definito due mesi fa a rischio di non rispettare il patto di stabilità, con la richiesta di ulteriore flessibilità per un totale di 0,8% del pil (riforme strutturali e investimenti) e le ulteriori aggiunte (spese per l’immigrazione e spese per sicurezza anti-terrorismo+bonus consumi culturali); la valutazione del rispetto della regola del debito (già a novembre Bruxelles aveva indicato che l’Italia rischia di non rispettarla nel 2015). E’ possibile che per il 2015 Bruxelles debba certificare il mancato rispetto della regola del debito: che questo poi implichi una procedura immediata è presto per dirlo.
Oggi non ci sono state indicazioni sulle prossimo mosse. La Commissione evita accuratamente di parlare di necessità di manovre aggiuntive. Aspetta i dati certificati da Eurostat sul 2015 per verificare il caso del debito e aspetta che sia chiarito il capitolo della flessibilità per le spese per fronteggiare la crisi dei rifugiati. Per ora si basa sulle spese 2015, ma l’Italia ha chiesto di estendere la base di riferimento per corroborare la richiesta di uno ‘sconto’ di 3,3 miliardi sul deficit (0,2% del pil). Le discussioni sono in corso e non saranno facili.
Se potrà essere prolungato l’uso delle clausole di flessibilità (tutte) appare controverso: la posizione comune concordata dagli ‘sherpa’ dell’Ecofin (che trattano a nome e per conto dei ministri finanziari) dice di no. Senza una flessibilità prolungata oltre il 2016 l’Italia rischia di trovarsi di fronte a sforzi di bilancio notevoli. Sulle relazioni Roma-Bruxelles, non c’è da aggiungere nulla salvo l’invito di Moscovici alla calma e al lavoro comune per non restare intrappolati nella logica dello scontro.
Lo scenario economico offerto dalle stime comunitarie non è confortante. Certamente l’Unione europea entra nel quarto anno di ripresa. Però la crescita resta moderata. Deludente. Nel rapporto non si trova traccia di questo termine, ma tale è il sentimento che traspare. Non c’è vocabolo più ripetuto in 180 pagine di “graduale”, secondo solo a “rischio”. E’ la parola chiave dell’anno: a corto di scenari suggestivi e per timore di prendere posizioni nette, ci si ripara nel vocabolario.
Graduale la ripresa ovunque, a livello globale come in Europa e graduale la normalizzazione monetaria della Fed ma non per questo meno pericolosa. Graduale la ripresa degli investimenti come il calo della disoccupazione (che c’è e si sente). E graduale naturalmente la crescita dell’inflazione (però oggi è ancora molto bassa) e pure l’assorbimento dei rifugiati nel mercato del lavoro. Anche il contributo delle politiche di bilancio alla crescita sarà, naturalmente, graduale.
Non è stato però graduale l’aumento dell’intensità e della quantità dei rischi sul futuro rispetto a quattro mesi fa. Questo il rapporto della Commissione lo afferma esplicitamente. La ripresa è bassa rispetto alla serie storica e rispetto alle altre economie avanzate, dice il direttore generale degli Affari economici Marco Buti. In Italia la crescita del pil era più bassa della media Eurozona di 0,8% nel 2015, sarà più bassa di 0,3%, nel 2017 di 0,6% (fra il 2007 e il 2011 la media dei cinque anni è stata in Italia -0,6%, nella zona euro +0,5%).
Ci sono emergenze buone ed emergenze cattive e il risultato non è a somma zero. Il calo dei prezzi del petrolio sosterrà certamente la ripresa, continuerà a reggere redditi reali e consumi privati, i consumi pubblici sono sostenuti anche dalle spese per fronteggiare le ondate di rifugiati, perfino la politica di bilancio è ora “leggermente” spostata sulla crescita. Il tutto nel quadro dell’espansione monetaria della Bce destinata ad ampliarsi ulteriormente. Dall’altra parte della bilancia troviamo fattori molto potenti di segno avverso.
Bruxelles vede sei rischi, quattro esterni e tre interni. Il primo è un ‘hard landing’ dell’economia cinese e degli altri mercati emergenti. Il secondo è la restrizione monetaria americana. Entrambi questi fattori possono trasmettersi all’Europa attraverso i canali del commercio, dei mercati finanziari e della fiducia. Poi i prezzi del petrolio, l’evento a doppio taglio: si pone il problema del livello al quale il prezzo basso diventa, in parte, un boomerang. Certo si sa che può provocare scossoni alla stabilità finanziaria dei paesi esportatori, scossoni che possono ridurre le esportazioni europee e comportare trambusti più generalizzati sui mercati finanziari. Poi le tensioni geopolitiche: Siria, Libia, terrorismo hanno un impatto sulla fiducia, sugli investimenti.
I rischi interni riguardano intanto l’eredità della crisi che pesa sull’attività di investimento, data la riduzione dei debiti in corso nel settore privato e il peso dei crediti bancari deteriorati. Poi i flussi migratori che possono mutare radicalmente le aspettative dei consumatori. Sicuramente la nuova fase di gestione delle frontiere colpirà settori delicatissimi (trasporti e turismo, quest’ultimo settore colpito anche dal rischio terrorismo). Più saranno generalizzati i controlli delle frontiere nel grande spazio Schengen più ciò avrà dei costi per la crescita. Infine la Grecia che, stranamente, dopo tanto tempo riappare come un fattore di possibile pericolo dopo che tutti sembravano averlo dimenticato.
Secondo gli economisti di Bruxelles, ecco la conclusione, i rischi sono spostati più decisamente verso il peggioramento che verso il miglioramento della situazione.