Apparentemente il caso dovrebbe essere considerato chiuso, ma le banche nazionali di promozione dello sviluppo, in Italia la Cassa Depositi e Prestiti, in Francia la Caisse des Depots et Consignations, in Germania la Kfw, in Spagna la Ico, e la banche di sviluppo polacca, sono molto preoccupate. Il vicepresidente della Commissione Katainen ha indicato che le regole della concorrenza non saranno applicate in modo da smontare il ‘piano Juncker’, men che meno considerando le garanzie pubbliche europee incompatibili. Così andrebbero interpretate le sue parole: “Non ci sono problemi”. Sta di fatto che le banche nazionali di sviluppo dei grandi paesi europei, in testa quelle francese, italiana e tedesca che si sono impegnate a intervenire nell’operazione investimenti con 8 miliardi ciascuna in tre anni, hanno lanciato l’allarme e ritengono che la Commissione debba chiarire rapidamente tre punti: oltre alla questione degli aiuti di Stato, le questioni del prezzo delle garanzie e della flessibilità delle regole sui bilanci pubblici. “La nostra valutazione – ha spiegato il presidente della Cdp Franco Bassanini – è che se non viene fatta chiarezza rapidamente il piano Juncker non decolla, peggio ‘forget it’”. Cioè sarà un fiasco perché non riuscirà ad attrarre capitali privati.
Ieri a Roma si è svolta una riunione dei vertici delle banche nazionali di promozione (in sostanza i ‘fondi sovrani’ dei principali paesi europei) e nella discussione è emersa con forza la preoccupazione che nella Commissione europea possa prevalere una interpretazione dogmatica se non chiaramente sbagliata delle regole degli aiuti di Stato. Il piano Juncker si fonda su 16 miliardi di garanzie pubbliche provenienti dal bilancio Ue e su 5 miliardi freschi della Banca europea degli investimenti (è il braccio finanziario dell’Unione i cui azionisti sono i governi). Da tale disponibilità la Ue si aspetta investimenti per complessivi 315 miliardi in tre anni grazie all’effetto leva derivante, appunto, dalla ‘base’ di garanzie e finanziaria pubblica.
Bassanini ha raccontato che “in alcuni dipartimenti della Commissione c’è una discussione in corso” che sta preoccupando notevolmente i ‘fondi sovrani’ dei principali Stati membri che hanno deciso di partecipare all’operazione Juncker non capitalizzando il nuovo Fondo europeo per gli investimenti ma sostenendo le ‘piattaforme’ di settore e regionali. In sostanza è la soluzione trovata per avere la certezza che i soldi di ogni Stato (la Cdp è comunque fuori dal perimetro del bilancio pubblico) aiutino a mettere in moto un meccanismo di finanziamento privato nel territorio nazionale o a sostegno di progetti di interesse nazionale.
“Certamente si tratta di aiuti pubblici, dato che ci sono di mezzo risorse della Commissione europea – dice Bassanini -, ma abbiamo di fronte un problema chiaro di fallimento del mercato: di tali investimenti i paesi hanno bisogno ma per il rischio elevato e la preoccupazione che la redditività non sia alta non ci sono investitori. E’ un aiuto di Stato che non deve e non può essere vietato perché legittimo in base ai Trattati europei”.
In realtà sarebbe oltremodo assurdo che la Commissione dopo aver promosso il piano Juncker lo ostacoli applicando le regole sugli aiuti di Stato, penalizzando cioè l’apporto pubblico. Una situazione paradossale. Katainen ha spiegato che è stato lo stesso vertice dell’esecutivo europeo a chiedere lumi giuridici in modo che non ci fossero dubbi sulla legittimità dell’intervento europeo (probabilmente per porsi al riparo anche da eventuali contestazioni presso la Corte di Giustizia).
Bassanini ha anche parlato del ‘pricing’ delle garanzie: “Deve essere coerente con gli obiettivi del piano Juncker per permettere anche il finanziamento di progetti non considerati al top dal mercato, occorre tenere conto che il rating dipende da fattori macro-finanziari complessi e che un costo a costo di mercato pieno non potrebbe fronteggiare il fallimento del mercato, il fatto che non ci sono investitori disposti a investire”. L’idea di Bassanini è che il prezzo delle garanzie deve essere in linea con gli strumenti finanziari Ue (ad esempio come il Fondo per l’efficienza energetica). Un prezzo che deve essere inferiore a quello di mercato.
Il problema sollevato dai grandi ‘fondi sovrani’ europei rimanda a un dilemma più generale: ci sono molte regole europee che rappresentano un ostacolo agli investimenti, “che li penalizzano, mentre invece favoriscono gli impieghi finanziari a breve termine” dice Bassanini. Tali regole “vanno cambiate perché sono regola suicida, da Tafazzi” (personaggio di alcuni sketch cabarettistici dei primi anni 90 che in calzamaglia nera e sospensorio bianco, saltellava colpendosi l’inguine con una bottiglia di plastica).
Il presidente della Cdp cita espressamente la necessità di modificare il quadro regolamentare europeo “tuttora non favorevole agli investimenti di lungo termine”: dalle norme di accounting alle norme bancarie che si stanno discutendo nel quadro Basilea IV “che renderebbero ancora più pesanti in termini di assorbimento di capitale e di ratio di liquidità finanziare investimenti e l’economia reale”. Il rischio “è che la Bei e le banche nazionali di promozione siano lasciate sole in un mercato in cui altri potenziali investitori non avranno la convenienza a partecipare anche se vorrebbero a causa agli effetti di regole definite senza una chiara comprensione che la crescita economica, cioè gli investimenti di lungo termine, è una condizione vincolante sia per la stabilità finanziaria che per il consolidamento del bilancio”.