LETTERA DA BRUXELLES Segretissimi gli scenari su impatto eventuali sanzioni economiche contro Mosca

   E’ avvolta nel mistero la valutazione dell’impatto sulle economie dei paesi dell’Unione europea di eventuali sanzioni economiche contro la Russia (commerciali, finanziarie, nel settore dell’energia) che la Commissione ha inviato alle capitali. A quanto sembra i ministri finanziari non ne hanno discusso nell’ultima riunione dell’Ecofin. Nulla trapela dalle fonti ufficiali. Se ne parla invece e molto in stanze segretissime. Il motivo è ovvio: una valutazione oggettiva dei vari scenari che possono essere disegnati su estensione e intensità delle sanzioni presenterebbe automaticamente una ‘mappa’ politica delle posizioni dei vari governi sulla strategia da adottare. Nulla si muoverà comunque fino alle presidenziali del 25 maggio in Ucraina. Per il 27 è stato fissato un vertice Ue per affrontare il dopo elezioni europee: è difficile che i capi di Stato e di Governo possano non affrontare anche la crisi ucraina. Per questo Obama sta accentuando la pressione sugli europei per accelerare i tempi del passaggio dalle sanzioni ‘legali’ (visti e blocco dei patrimoni di singoli) alle sanzioni economiche destinata e fare più male a Putin, nel caso in cui non ci fossero novità nelle scelte russe. E Londra gli sta dando parecchia corda.

 I vertici Ue hanno preso molto sul serio la nuova missione ‘tecnica’ per accelerare la svolta nella sicurezza energetica con l’obiettivo di ridurre la dipendenza dalle importazioni di gas dalla Russia. Un elemento distensivo è arrivato dalla riunione a 3 fra commissario europeo Oettinger (tedesco) e i ministri dell’energia russo e ucraino: si incontreranno di nuovo a metà maggio. Per tutta la durata del negoziato sulle forniture il flusso di gas dalla Russia nelle ‘pipeline’ sarà è assicurato. Nessuno crede che dopo la fine della guerra fredda possa verificarsi una situazione che neppure in quegli anni si verificò: il blocco del gas russo. Ma ormai la relazione Ue-Russia non è più fondata sulla fiducia reciproca e ciò alimenta molta incertezza. Nella manovra a tenaglia che si sta cercando di rafforzare al livello del G7 (alle riunioni del quale la Russia continua a non partecipare), la questione energetica è centrale da tutti i punti di vista.

  I ministri del G7 hanno ribadito che l’energia “non può essere usata come uno strumento di coercizione politica, come una minaccia alla sicurezza” e che la sicurezza energetica “è una responsabilità collettiva”. Di questo il G7 vuole parlare anche in sede di G20: questa è una novità politica perché finora il G20, del quale fa parte a pieno titolo la Russia insieme con la Cina, l’Arabia saudita, il Brasile e tutti i grandi paesi emergenti, non era stto coinvolto in quanto tale sulla vicenda ucraina. Il G20 è l’unico forum politico effettivamente rappresentativo del pianeta e lì le maggioranze sono più variabili, l’esito del confronto molto più incerto rispetto al G7. Tre i principi importanti definiti nella riunione dei ministri dell’energia: nessun paese deve dipendere totalmente da un solo fornitore, vanno aperte nuove rotte di fornitura, va promosso un mercato più integrato del gas naturale liquefatto sapendo che “alcuni investimenti nelle infrastrutture necessarie per aumentare la sicurezza delle forniture non possono essere realizzati secondo le regole del mercato e potrebbero essere sostenuti da quadri di regolazione (specifici – ndr) o attraverso finanziamenti pubblici”.

  La diversificazione delle fonti di approvvigionamento è però un processo piuttosto lungo. Secondo la società di consulenza Wood McKenzie per ridurre al 25% la dipendenza da Gazprom (dal livello attuale attorno al 30%) occorreranno minimo 5-6 anni. Ciò richiederà investimenti per oltre 150 miliardi di euro. E diverso tempo passerà prima che gli Usa siano in grado di far affluire ‘fiumi’ di gas di scisto per i quali la Spagna si sta già comunque attrezzando con l’obiettivo di diventare il principale ‘hub’ di smistamento europeo. Anche per i tempi e non solo per la diversa esposizione alle forniture russe dei diversi paesi, la Ue ritiene che le misure sul gas russo stanno in fondo alla lista delle sanzioni economiche possibili. Lo ha indicato espressamente il commissario Oettinger a Berlino. Nella Ue ci sono 19 terminali di rigassificazione e l’anno scorso circa il 73% della capacità tecnica non è stata usata.

 Secondo i regolatori europei dell’energia (Council of European Energy Regulators) in caso di blocco del gas russo possono essere aumentate le forniture di gas naturale liquefatto in Belgio, Spagna, Francia, Grecia, Italia, Olanda e Regno Unito ma, dicono i regolatori, “il flusso potenziale verso est potrebbe essere limitato dalle strozzature nelle reti di trasmissione europee”. A questo si aggiunga un problema di prezzo di quel gas, che nel mercato globale è significativamente più alto degli attuali prezzi del gas via “pipeline”.

  Un aspetto della crisi con la Russia emerso negli ultimi giorni riguarda l’impatto sulla ripresa economica che si sta faticosamente ampliando. Nelle sue previsioni economiche, la Commissione pone la Russia al 4° posto tra i rischi di peggioramento: il primo rischio per la crescita resta il blocco delle riforme economiche strutturali o la loro attuazione parziale, che agirebbero negativamente sulla sfiducia interna e internazionale; il secondo può avere origine dalla stabilità finanziaria della Cina; il terzo dall’esposizione dei paesi emergenti alla restrizione delle condizioni finanziarie dovute alla graduale normalizzazione della politica monetaria americana e nelle altre economie avanzate combinata a un marcato rallentamento della crescita cinese (Cina e paesi emergenti in realtà possono essere considerati un unico grande rischio). “Le tensioni con la Russia hanno aumentato i rischi geopolitici e hanno già danneggiato la crescita russa – scrivono gli economisti di Bruxelles –, ma non può essere escluso un rallentamento più forte a causa di tensioni finanziarie ed effetti di sfiducia”. Per non parlare “delle conseguenze di blocchi delle forniture di gas”.

  Colpisce la posizione della Cina nella classifica dei rischi: al momento la fragilità del suo sistema bancario fa più paura dei rischi di guerra civile in Ucraina. L’Ocse ha una valutazione analoga anche se rispetto alla Commissione europea accentua il rischio di un indebolimento ulteriore dell’inflazione che potrebbe sfociare nella deflazione.