LETTERA DA BRUXELLES Sempre massima cautela su nuova stretta contro la Russia

L’Unione europea è sempre più cauta sul passaggio alla ‘fase 3’ delle sanzioni contro la Russia, che colpirebbero direttamente attività economiche, commerciali e finanziarie. Lunedì si riuniranno a Lussemburgo i ministri degli esteri, poi toccherà ai ministri della difesa e gli argomenti saranno sempre gli stessi: accelerazione del sostegno finanziario all’Ucraina, riflessione sulle conseguenze per la politica di sicurezza del peggioramento delle relazioni con Mosca. Mentre da parte americana tutto indica che sarà allungata la lista delle persone sotto il tiro delle sanzioni ‘personali’, la stragrande maggioranza dei governi europei conferma di voler procedere lentamente. Il Regno Unito, che ha sempre spinto l’acceleratore su una risposta più ruvida ma non al punto da mettere a rischio la piazza finanziaria londinese dalla quale transitano ingenti capitali russi, lancia nuove idee per una “soluzione politica” giocando la carta di un “accordo regionalista” per il futuro ucraino.


  I ministri degli esteri dovrebbero ultimare le discussioni per l’esborso di una prima ‘tranche’ del prestito all’Ucraina di 610 milioni (che sarà seguito da 1 miliardo), cosa che dovrebbe avvenire a metà maggio. Poi faranno il punto sul negoziato tra Slovacchia e Ucraina per il passaggio verso Kiev del gas slovacco (acquistato dai russi). E’ il cosiddetto ‘reverse flow’, il flusso inverso del gas, che dovrebbe fronteggiare eventuali rotture delle forniture di gas russo all’Ucraina. Questo è una ipotesi molto controversa: Mosca non l’accetta, a Bruxelles dicono invece che non ci sono ostacoli né legali né tecnici.

  Alcuni giorni fa il premier ucraino Yatsenuk, nel pieno del braccio di ferro con Mosca sul prezzo del gas, ha indicato che erano in corso contatti “d’emergenza” con Slovacchia, Ungheria e Polonia per rifornire il paese dall’Ovest invertendo il flusso dalla rete che trasporta il gas russo verso l’Europa (l’Ucraina importa dalla Russia oltre metà del gas di cui ha bisogno). ll ‘ceo’ di Gazprom Miller aveva reagito immediatamente affermando che l’inversione delle forniture dalla Slovacchia non è “fisicamente possibile” e che comunque le società europee che intendessero procedere in tale direzione “dovrebbero valutare molto attentamente la legalità di tali operazioni”. Circa il 40% delle esportazioni di gas russo in Europa passa per l’Ucraina, il resto passa dalla pipeline Nord Stream per finire in Germania e dal gasdotto Yamal Europe attraverso Bielorussia e Polonia. Secondo gli esperti il gas ‘riversato’ in Ucraina dalla Slovacchia potrebbe coprire fino a un terzo del fabbisogno ma non in tempi rapidi. Occorrerebbero almeno sei mesi per partire non a pieno regime e fra sei mesi il freddo sarà già arrivato.

  La questione del riorientamento dei flussi del gas è destinato a diventare molto calda. Se è vero che tra gli europei prevale la massima prudenza perché la scelta di proseguire verso le sanzioni economiche comporta gravi rischi per economie fortemente dipendenti dal gas russo (in varia misura l’Est, soprattutto), è anche vero che da parte russa i segnali sono piuttosto negativi. La lettera di Putin a 18 governi europei (tra cui l’Italia) ha complicato non poco la situazione. Con il ricatto sulle forniture di gas all’Ucraina il presidente russo cerca di riguadagnare il terreno perduto con la sospensione del G8. Putin ha affermato che Gazprom sarà obbligata ai prepagamenti delle forniture di gas da parte dell’Ucraina e in caso di mancato rispetto delle condizioni di pagamento “a cessare totalmente o parzialmente le forniture”. Mosca ha aumentato il prezzo per mille metricubi a 485 dollari rispetto al prezzo scontato di 268,50 dollari. Si tratta del livello di prezzo più alto praticato in Europa da Gazprom.

  Putin propone una via di uscita: “Su un piede di parità con i nostri partner europei e tenendo conto degli investimenti e di quanto speso da molto tempo dalla Russia per sostenere l’Ucraina”, Mosca è pronta consultazioni fra ministri dell’economia, delle finanze e dell’energia. Obiettivo: definire insieme misure per stabilizzare l’economia ucraina. C’è dunque una offerta diplomatica ma con il condimento di un chiaro ricatto a Kiev a fronte del rifiuto ukraino di pagare una tariffa aumentata dell’80%.

  Mentre continua la fuga dei capitali dalla Russia, proprio la crisi fra Mosca, la Ue e gli Usa comincia a essere considerata un rischio per l’economia mondiale. Le grandi società energetiche europee temono che se l’irrigidimento sulle sanzioni porterà a “toccare il gas”, le conseguenze saranno molto serie sia per la stabilità del mercato energetico sia per le forniture. Per quanto possa sembrare strano, il prossimo inverno non è poi così lontano. D’altra parte, l’opinione generalizzata è che affinché le sanzioni possano avere un effetto su Mosca, o coinvolgono l’attività energetica russa o non produrranno danni significativi. Secondo Arno Behrens, del Ceps di Bruxelles, “Putin non è in grado di usare (oltremisura – ndr) il gas come arma politica perché è un ‘petro-Stato’, le esportazioni di gas di Gazprom verso la Ue valgono più di 17 miliardi di euro all’anno”. Neppure durante gli anni più duri della Guerra Fredda il gas smise di affluire da Est. E’ vero che c’è l’Asia, ma nel breve termine il ri-orientamento verso altri mercati non è possibile.

  La Commissione europea intanto procede per mettere insieme il complicatissimo “puzzle” costituito dallo studio di impatto economico di sanzioni economiche contro la Russia, uno studio che sarà “a 360 gradi” per i settori e per i diversi paesi. Alle riunioni del Fondo monetario e della Banca mondiale si discute non solo di politica monetaria della Fed, della Grecia che torna sui mercati, del rischio deflazione in Europa. Si discute anche della variabile Russia, che è peraltro tra i grandi azionisti di entrambe le istituzioni. Per il presidente della Banca mondiale Jim Yong Kim se la crisi ucraina si prolungherà l’economia russa potrebbe contrarsi di circa il 2%. Sarebbe un “problema molto grave” per le ricadute finanziarie e per il rischio di un aumento della volatilità dei mercati internazionali.