LETTERA DA BRUXELLES L’Irlanda esce dalla stretta della Troika ma i problemi sono non finiti

L’Irlanda esce dalla stretta della Troika. Fine del salvataggio, missione compiuta. Per la verita’ i controlli “esterni” continueranno ma saranno piu’ rarefatti, l’occhio dei prestatori (Eurozona e Fondo monetario) continuera’ a essere vigile, ma è certo che una pagina si è chiusa, l’Irlanda ce l’ha fatta senza dover ricorrere a prestiti precauzionali. Anche la Spagna sta per uscira dal programma di aiuto europeo per il sistema bancario. Resta da chiedersi perche’ i soli a moltiplicare i messaggi di soddisfazione sono i vertici delle istituzioni europee e del Fmi che sono stati gli artefici dell’operazione salvataggio. Criticati da parti consistenti delle opinioni pubbliche, mostrano il primo risultato della strategia anti-crisi. Se pero’ non ci sono grandi entusiasmi è perche’ ormai ci si e’ abituati all’idea che il pericolo di disintegrazione dell’area monetaria e’ da tempo alle spalle e che davanti c’è ancora un lungo cammino da fare: bassa crescita, alta disoccupazione, processo di riduzione dei debiti pubblici e privati ancora lunghissimo.
 Il fatto di essere il primo paese della zona euro a uscire dai programmi di salvataggio (85 miliardi di aiuti concessi nel novembre 2010) è cosa di cui a Dublino si va naturalmente fieri. Sono stati tre anni di lacrime e dura austerita’, per il 2014 ci sono gia’ riserve finanziarie sufficienti: nessuno vede rischi all’orizzonte. Ma l’ex Tigre Celtica si lecchera’ per molto tempo ancora le profonde ferite dovute ad anni di crescita trainata da una gigantesca bolla immobiliare e finanziaria. Il ritorno alla sovranita’ nella politica economica e di bilancio non significa che tornera’ a essere Tigre. Intanto si tratta di una sovranita’ limitata: nell’Eurozona non c’e’ più separazione tra cio’ che e’ politica economica e finanziaria interna da cio’ che si configura come una politica economica e di gestione dei bilanci pubblici nell’unione monetaria. La sovranita’ nazionale e’ condizionata, il suo baricentro non si trova piu’ nelle singole capitali. Poi le prospettive: per il 2014 viene stimata una crescita del pil del 2% (nel 2013 0,2%), ma la disoccupazione restera’ alta per diversi anni (al 12,5% a novembre con l’esplosione dei disoccupati di lunga durata) e non ha superato tale livello solo perche’ gli irlandesi emigrano a valanga: 90 mila all’anno, meta’ dei giovani tra 18 e 14 anni prevede di abbandonare l’isola.
 L’Istat ha appena pubblicato le statistiche sui consumi per abitante nell’Unione europea del 2012. Si tratta dell’indice Cie, consumo individuale effettivo, che riflette meglio del pil per abitante il grado di benessere delle famiglie tenendo conto dei beni e servizi consumati indipendentemente dal fatto che siano stati acquistati e pagati dai singoli, dallo Stato o da istituzioni senza scopo di lucro (il Cie venne raccomandato diversi anni fa dei premi Nobel Amarya Sen e Joseph Stiglitz e Jean-Paul Fitoussi). Nel 2010 l’indice sui consumi per abitante in Irlanda era a quota 102 (fatta 100 la media Ue), nel 2011 era a 99, nel 2012 era a 98 a fronte di una media Eurozona di 108, 108 e 107. Tanto per dare un’idea in Portogallo e Grecia in tre anni sono stati persi 7 punti, in Italia e Spagna ne sono stati persi 5. Tra salvati e chi ce l’ha fatta senza prestiti (ma con la stampella Bce), ci si ritrova tutti sfiancati. Poi c’è il debito pubblico al 124% del pil, c’e’ il ritardo dei pagamenti di un quarto dei crediti immobiliari superiore a tre mesi. Infine il settore bancario, sfida ancora aperta anche se le autorita’ europee sono convinte che dagli stress test e dalle verifiche della Bce sulla qualita’ dei bilancio non emergeranno buchi.
  La Spagna seguira’ a ruota l’Irlanda: fase ‘exit’ dagli aiuti. Ha usato solo 43,1 miliardi dei 100 messi a disposizione nell’estate 2012, sta uscendo timidamente dalla recessione, con una disoccupazione a livelli post guerra, 26%, oltre il 50% quella giovanile. Le banche ora non destano timori, a novembre il debito verso la Bce è di nuovo calato arrivando al livello piu’ basso da febbraio 2012: 220,5 miliardi, -35,3% annuo. Migliora la capacita’ di finanziarsi direttamente sul mercato. Restano aperti i programmi di salvataggio di Cipro, Grecia e Portogallo (la Slovenia sembra che ce la faccia a non chiedere gli aiuti per le sue banche). La Grecia è sempre li’ in bilico: solo a primavera si sapra’ se avra’ bisogno di un nuovo prestito. Per ora la Troika sta tirando nuovamente la corda e le autorita’ di Atene cercano disperatamente di evitarlo. Per Cipro il percorso e’ ancora lungo, ma non sembra destare grandi preoccupazioni. Per il Portogallo c’e’ incertezza: il programma di salvataggio scade a giugno 2014. Il governo ha appena annunciato di non aver bisogno di un secondo piano di aiuti (dopo quello di 78 miliardi del maggio 2011). Ci sono due strade: ritorno al mercato senza rete o una linea di credito cautelativa per la durata di 1 anno dell’European Stability Mechanism, che comporta ovviamente una specifica condizionalita’. Lisbona non ha ancora deciso.