Vigilanza bancaria unificata e sostegno alle banche spagnole, versamenti dei fondi alla Grecia e taglio del debito. Gli impegni di fine giugno sono stati rispettati. Niente di deciso su un ulteriore rafforzamento dell’Eurozona con veri e propri patti, contratti che leghino gli Stati a impegni precisi di riforme strutturali per migliorare la competitivita’ sostenuti da un meccanismo di solidarieta’ finanziaria, un barlume di condivisione dei costi di ristrutturazione delle economie. Impegno a trovare un accordo sulla ‘risoluzione’ delle banche e sul regime di garanzia dei depositi entro marzo, a un’intesa finale a livello Ue prima di giugno, a chiarire i principi della ricapitalizzazione diretta delle banche da parte dell’Esm entro fine giugno. E’ questo in estrema sintesi quanto l’Europa ha fatto e non ha fatto negli ultimi sei mesi. Ha colpito il rinvio delle decisioni sul futuro dell’Eurozona, ma sia pure in chiave minimalista qualche porta alla condivisione di rischi e costi e’ stata tenuta aperta.
In realta’ sulle prospettive dell’Eurozona nessuno si era fatto illusioni che i Ventisette avrebbero deciso qualcosa di preciso: da un lato ci sono le elezioni tedesche in autunno che impediscono un colpo d’ali della cancelliera Angela Merkel su temi sensibili come la condivisione del debito, l’idea di un quasi-bilancio dell’Eurozona; dall’altro lato un progresso ulteriore dell’integrazione delle politiche di bilancio ed economiche implica nuovi spostamenti di sovranita’ dalle capitali al centro che, gia’ complessi di per se’, non possono essere ne’ concepiti ne’ digeriti in pochi mesi.
Non e’ un caso che nella conferenza stampa Merkel abbia ribadito come il 2013 non sara’ un anno in discesa e che la cinghia tirata oggi e’ necessaria per compensare la cinghia troppo lenta (sulle finanze pubbliche) ieri. Sparite le suggestioni di un bilancio Eurozona, sparita l’idea di una “capacita’ di bilancio” (gia’ un declassamento rispetto al primo termine) per aiutare i paesi a fronteggiare gli choc economici, e’ rimasta l’idea di “meccanismi di solidarieta’” per sostenere gli sforzi degli Stati che ‘firmano’ contratti con le istituzioni europee relativi alle riforme per aumentare la competitivita’ e facilitare la crescita economica. Solidarieta’ vuol dire finanziamenti. La versione tedesca di questo principio, oggi fatto proprio da tutti i governi europei, e’ che deve trattarsi di una messa in comune molto limitata di fondi. Angela Merkel ha detto che si tratta di un fondo “a tre cifre, piuttosto di 10, 15 o 20 miliardi di euro”. Si vedra’. Se la dimensione e’ quella, l’influenza concreta sull’economia sara’ scarsa, ma il segnale politico potrebbe produrre effetti di piu’ ampio respiro come spesso e’ accaduto nel corso della crisi del debito sovrano. La logica tedesca dei piccoli passi ha fatto scattare Francois Hollande che ha rilanciato la necessita’ di valutare in modo intelligente gli investimenti in relazione agli obiettivi di bilancio (pareggio), per aiutare la ripresa economica. Merkel si e’ irrigidita: nelle conclusioni viene indicato come sia gia’ possibile nelle regole attuali trovare l’equilibrio tra investimenti pubblici produttivi e disciplina di bilancio quando si tratta di “prevenire” la corsa dei deficit (non quando questi sono oltre i limiti di Maastricht). Appuntamento a giugno, quando il presidente Ue Van Rompuy presentera’ “possibili misure e un calendario vincolante” per attuarle.
E’ stato il presidente della Commissione Barroso a sintetizzare il Vertice: “Gli Stati membri hanno deciso di concentrarsi su cio’ che puo essere fatto immediatamente”. A rischio di perdere pero’ lo slancio a innovare le politiche nell’Eurozona. Nei prossimi mesi tutta l’attenzione sara’ su vigilanza bancaria Bce e le altre due ‘gambe’ dell’unione bancaria. Non e’ un caso che la direttiva sulla garanzia dei depositi sia arenata da mesi: contiene il principio della solidarieta’ tra i sistemi nazionali nel caso in cui un paese non riesca a far fronte a una fuga dei correntisti. E non e’ un caso che la proposta sulla ‘risoluzione’ delle banche preveda 27 fondi nazionali e non una autorita’ unica con un fondo finanziario. Queste due ‘gambe’ dell’unione bancaria, senza cui il sistema unico di vigilanza centrato sulla Bce non puo’ funzionare, richiedono necessariamente un grado di condivisione dei rischi e dei costi che molti paesi non vogliono assumere (Germania, Finlandia, Olanda, Svezia). Comunque i Capi di Stato e di Governo hanno assunto impegni sulle scadenze: accordo all’Ecofin su risoluzione e depositi entro fine marzo, accordo con l’Europarlamento prima di giugno. Per la Bce e’ questione di primaria importanza. Entro fine giugno deve esserci l’accordo sulle procedure per permettere all’Esm (il Fondo anti-crisi) di ricapitalizzare direttamente le banche. Va chiarita la definizione dei cosiddetti ‘legacy asset’, gli asset del passato: nella versione tedesca le ricapitalizzazioni dirette devono riguardare le situazioni ‘nuove’. Il grande litigio riguardera’ la data di riferimento per tali operazioni. L’impegno di chiudere nel primo semestre 2013 implica che si prevede che le ricapitalizzazioni dirette non partiranno prima di luglio nella peggiore delle ipotesi.
Nel corso dell’anno, la Commissione presentera’ la proposta per un meccanismo unico di risoluzione per i paesi che partecipano alla vigilanza unificata fondato “sui contributi del settore finanziario” e su accordi per ‘backstop’ efficaci. Assicurando che l’assistenza pubblica sia recuperata da prelievi ex post sulle banche.