LETTERA DA BRUXELLES Auto, fari Ue sugli aiuti in Francia e polemiche sul protezionismo

Più fa male la recessione, più si fa lunga la lista delle aziende nei guai, ultimo il caso dell’automobile francese (sulla scia delle grandi incertezze sugli stabilimenti italiani della Fiat), più è pronto a scattare il riflesso difensivo. E’ naturale ciò accada, ma ora la tensione sta salendo al massimo grado. Sotto tiro la Commissione europea, che con il mandato dei governi europei negozia i trattati commerciali. Parigi è all’attacco, per la verità con intensità non molto diversa da quando all’Eliseo c’era Nicolas Sarkozy. L’Antitrust guidato dallo spagnolo Joaquin Almunia è prudentissimo, dovrà analizzare il piano Psa Peugeot Citroen, 7 miliardi di euro garantiti dallo Stato per puntellare la banca del gruppo per capire se si tratta di aiuti di stato illegali. Anche Berlino e Roma hanno gli occhi puntati su Bruxelles.


L’auto è uno dei buchi neri dell’industria europea: la capacità di produzione nella Ue va dai 15 ai 17 milioni di veicoli all’anno, il 2012 dovrebbe chiudere con 12,3 milioni di auto comprate. Acea, l’associazione europea dei costruttori di cui è presidente Sergio Marchionne (la presidenza è a rotazione), ha indicato che in settembre la vendita di auto nuove ha toccato il livello più basso in dodici mesi. Cars 21, il gruppo messo in piedi dalla Commissione europea per dialogare (e far dialogare tra loro) case automobilistiche, sindacati, governi, calcola una sovracapacità produttiva del 20%. Cinque i problemi chiave: dipendenza dai mercati dei paesi terzi, aumento dei costi di produzione, costi della regolamentazione (in sostanza si tratta delle norme sulle emissioni di Co2), costosa sfida tecnologica. Problema strutturale, certo, ma aggravato dall’economia imballata, ecco il quinto problema, una recessione lunga e profonda, l’assenza di domanda, le famiglie che riducono i debiti e tagliano le spese, i parchi auto aziendali che dimagriscono.

I produttori europei, poi, sono divisi: gli interessi delle case tedesche, non sono quelli della Fiat in Europa e delle case francesi. Quando si cerca di definire una politica comune, le divisioni si sentono eccome. La ristrutturazione del settore va coordinata nella Ue, dice da mesi Marchionne quando parla a Bruxelles per l’Acea. Ma un grande azionista Acea, la Volkswagen, gli ha ribattuto che le ristrutturazioni sono un fatto aziendale, non sovragruppi o sovranazionale. Recentemente Marchionne ha chiesto il blocco dei negoziati per accordi di libero scambio che la Ue ha in cantiere (adesso con il Giappone), va impedito che vada a finire come con la Corea del Sud. Eccoci arrivati a uno specifico motivo di tensione commerciale e politica. Questa estate, dopo l’annuncio della soppressione di 8mila posti di lavoro alla Psa Peugeot Citroen, la Francia aveva chiesto a Bruxelles di mettere sotto sorveglianza le importazioni di auto dalla Corea del Sud. Qualche giorno fa la risposta negativa. Il commissario belga al commercio De Gucht (liberale fiammingo) ha concluso che non c’è un fenomeno di importazioni "concentrate" in uno o più stati membri della Ue anche se gli arrivi di auto coreane sono aumentati da quando è in vigore l’accordo di libero scambio (luglio 2011). Secondo i dati Eurostat tra luglio 2011 e giugno 2012 nella Ue le importazioni sono aumentate del 41%, ma solo del 24% in Francia. Non solo: la Commissione stima che malgrado l’aumento dell’import dopo l’entrata in vigore dell’accordo di libero scambio, il loro livello resta inferiore del 37% a quello del 2008 (anno di inizio della crisi). Inoltre, non tutte le auto vendute dai coreani arrivano dalla Corea perché Hyundai produce nella Repubblica Ceca e Kia in Slovacchia, produzioni che non rientrano nell’accordo Ue-Corea. L’Acea invece è da tempo in allarme, parla di volumi: fra il primo luglio 2011 e il 31 maggio 2012, la Corea ha esportato nella Ue 400mila auto, il flusso contrario è stato di 73 mila auto.

Il ministro alle attività produttive Arnaud Montebourg ha reagito in modo molto duro, annunciando che la Francia intende verificare "le condizioni per aprire i negoziati di libero scambio con il Giappone" (la linea Marchionne sta seminando). De Gucht lo ha subito accusato il ministro di essere "un protezionista contro la globalizzazione il cui ragionamento non sta in piedi, la Francia da sola non può redistribuire le carte del commercio mondiale". Si è mosso pure Pascal Lamy, socialista come Montebourg ma direttore generale dell’Organizzazione mondiale del commercio: "Non ho niente contro il patriottismo economico, ma se il patriottismo economico si trasforma in protezionismo patriottico non ci sto perché l’economia internazionale oggi implica che per esportare bene bisogna importare di più".

Un dialogo tra sordi. Le posizioni estreme di Montebourg non vengono riprese spesso da altri ministri di Hollande, ma è evidente che il governo vuole evitare il dissanguamento dei lavoratori dell’auto. Il suo collega degli affari europei Bernard Cazeneuve, per esempio, ha ammesso che l’accordo globale con i coreani è positivo sia per la Ue che per la Francia, limitandosi a dire che certamente "il caso dell’automobile è complicato". Recentemente il ministro del ‘riassestamento produttivo’ è apparso sulla copertina Parisien Magazine per promuovere il ‘made’ in France: dopo la pubblicazione, le vendite di magliette alla marinara della società bretone Armor-Lux sono aumentate del 60-65% nel giro di una settimana, 7 mila connessioni al sito internet contro le duemila medie giornaliere. "Mi fa piacere constatare che la Commissione europea e il Wto non sono contenti, almeno le persone normali si pongono le vere questioni", ha commentato Jean-Guy Le Floc’h, l’ex collaboratore di Vincent Bolloré (vicepresidente delle Generali) che da metà degli anni ’90 guida l’Armor Lux e l’ha portata al top dei marchi di moda. Naturalmente ‘made in France’.