Portogallo e Spagna hanno scoperto di avere un forte alleato: le grandi banche internazionali. L’International Institute of Finance, l’organismo che ha trattato con l’Eurogruppo la ristrutturazione del debito greco, si è pronunciato con molta nettezza a favore di una maggiore flessibilità sui tempi del consolidamento e per una espansione degli investimenti pubblici per fronteggiare la recessione. Una vera svolta, che nasconde un timore: che ad un certo punto si rimetta mano al valore del debito.
Andiamo per ordine partendo dal contesto. Nella riunione di martedì a Lussemburgo i ministri finanziari europei daranno il via libera alla ‘tranche’ di 4,3 miliardi di euro al Portogallo e alla flessibilità sui tempi di consolidamento del bilancio: il deficit/pil dovrà arrivare sotto il 3% entro il 2014 e non entro il 2013. E’ il risultato delle recenti decisioni del governo, ultimo il rialzo generalizzato delle imposte l’anno prossimo per rimpiazzare le misure di austerità che hanno scatenato la rivolta popolare (aumento degli oneri sociali a carico dei lavoratori dipendenti e parallela riduzione per le imprese). La Grecia ha chiesto due anni in più, fino al 2016, per rispettare gli impegni di riduzione del deficit a causa del drammatico avvitamento nella recessione (quest’anno si prevede un pil a quota -7% contro il -4,5% atteso) e ancora non ha avuto risposta. L’Eurogruppo prende tempo, i negoziati con la Troika sono durissimi, ma tra qualche settimana la questione sarà sul tavolo e dovrà essere data una risposta. Se Atene dimostra di sapere e potere rispettare gli impegni (uno dei problemi più spinosi è il flop delle privatizzazioni) si dovrà arrivare a un accomodamento sul calendario per la semplice ragione che un paese a economia morta non è in grado di ripagare un centesimo dei debiti contratti. Il problema del tempo del risanamento resta così all’ordine del giorno. Qui si inserisce l’intervento delle grandi banche internazionali, tra cui molte europee. Nella sua ultima riunione a Washington l’Institute of International Finance ha detto chiaro e tondo che in paesi come la Grecia “l’espansione degli investimenti pubblici merita di essere rafforzata” per sostenere sia l’offerta che la domanda. “E’ benvenuta la facilitazione dei target di bilancio per Portogallo e Spagna, anche se tali aggiustamenti sono più utili ex-ante piuttosto che ex-post”. E ancora: “E’ urgente completare la revisione del programma per la Grecia con una estensione del tempo previsto per gli obiettivi di bilancio”. Più in generale le grandi banche internazionali ritengono “che c’è un urgente bisogno di ri-orientare gli attuali programmi di aggiustamento nei paesi periferici dell’Eurozona dagli eccessivi interventi di bilancio e al raggiungimento di obiettivi nominali di debito/pil verso un orientamento di medio termine pro-crescita con grande enfasi sulle riforme strutturali e sul consolidamento del bilancio in termini strutturali”. Un processo che deve essere “graduale”, come accaduto in Irlanda.
Sono messaggi precisi, ma non si tratta di una conversione filosofica al keynesismo, è il riflesso di una vera e propria paura: che, a causa della recessione e della ‘fatica’ sociale e politica del consolidamento, ad un certo punto si riapra la scatola di un intervento sul valore del debito, con il rischio di un’altra scrematura ai danni dei detentori privati. Non è un caso che, il direttore dell’Institute of International Finance, accanto alla svolta keynesiana abbia affiancato un altro messaggio: nelle ristrutturazioni e nei fallimenti delle banche creditori pubblici e privati vanno trattati allo stesso modo”. Quando c’e’ intervento pubblico ogni condivisione degli oneri in casi eccezionali “deve seguire la normale gerarchia della struttura del capitale, senza tenere conto che si tratti della proprietà pubblica o privato degli strumenti in questione”.