LETTERA DA BRUXELLES Ultime battute per salvare la faccia (e l’Eurozona)

Siamo arrivati alla resa dei conti e per il momento non ci sono indicazioni chiare che tra una settimana i leader dell’Eurozona si dimostreranno in grado di dare risposte convincenti innanzitutto a se stessi prima ancora che ai mercati e al mondo intero. La fatica con cui il ‘quartetto’ europeo (ne fanno parte Van Rompuy, Barroso, Juncker e Draghi) sta definendo il ‘progetto’, la ‘road map’ per il futuro dell’unione monetaria dimostra platealmente questa incertezza. Il termine ‘road map’ e’ sempre piu’ abusato, immagine suggestiva che rischia di nascondere piu’ le cose non decise che quelle sulle quali c’e’ accordo. La ‘road map’ per l’unione bancaria, di bilancio, l’integrazione politica dell’Eurozona di cui parla Angela Merkel, ha senso solo se a fianco di ogni tappa c’e’ una data, altrimenti e’ fumo negli occhi.



 Negli ultimi giorni sono stati definiti i termini dell’unione bancaria: deve comprendere un sistema europeo di garanzie dei depositi e un sistema europeo di risoluzione delle crisi bancarie (per gestire in modo ordinato e prevedibile fallimenti e ristrutturazioni facendo pagare innanzitutto le banche e i loro azionisti). Senza una entita’ europea che interviene per spezzare il circolo vizioso crisi bancarie-crisi del debito sovrano, pero’, l’unione bancaria sarebbe monca. Cosi’ come sarebbe monca se la supervisione restasse nel limbo degli attuali poteri dell’Eba, che dell’autorita’ effettivamente europea ha solo le potenzialita’, ma non le gambe, non lo spazio giuridico. Risultato: resta ostaggio delle ‘vigilanze nazionali’.
 L’esistenza di una entita’, che ricapitalizzi direttamente le banche e costituisca chiaramente il prestatore di ultima istanza della zona euro, presuppone che i governi dell’unione monetaria concordino sulla “condivisione del rischio”. Ha ragione la Germania a volere che questa sia possibile solo nel quadro di una integrazione ‘perfetta’ delle politiche di bilancio, perche’ se ci sono dei debiti da onorare a livello europeo e’ giusto che ci siano tutti i mezzi per evitare che tali debiti si formino a livello dei singoli paesi. Ma ha torto nel ritenere che oggi si possa ancora vivacchiare con la coperta corta del Fondo anti-crisi Efsf-Esm.
 Il ruolo attivo nella crisi bancaria e del debito sovrano, e in prospettiva sempre piu’ fondamentale dell’Esm (intervenendo direttamente nelle ricapitalizzazioni delle banche e con un mandato per comprare rapidamente titoli dei paesi colpiti dai mercati anche se conducono politiche economiche fiscali ragionevoli) e’ diventato la leva tecnico-politica sul quale forse e’ possibile dimostrare che l’Europa sta facendo sul serio. A cio’ si aggiunge l’idea francese: dare all’Esm la possibilita’ di agire come banca, per assicurare l’accesso allo sportello di rifinanziamento della Bce. Insomma, si tratta di riconoscere che l’Esm, nella forma di un Fondo finanziato e garantito dagli stati membri, e’ davvero il ‘prestatore di ultima istanza’ dell’Eurozona. Riconoscimento che nessuno ha voluto fare finora per non turbare gli equilibri tedeschi.
 Le novita’ delle ultime ore indicano che i margini per agire sono stretti e le potenzialita’ per reagire ampie. Quasi un paradosso. I margini sono stretti perche’ non c’e’ piu’ tempo. E’ questo il messaggio di Mario Monti ad Angela Merkel: se non si prendono le decisioni convincenti tra una settimana al vertice Ue, riparte la ‘guerra’ finanziaria sull’Eurozona, l’Italia traballera’ nonostante il governo tecnico la cui base parlamentare potrebbe non reggere. Riprenderebbe in sostanza il gioco dei dieci piccoli indiani di Agatha Christie: prima i tre paesi salvati, poi la Spagna (e gia’ quasi sicuramente Cipro), ecco l’Italia. Quanto alle potenzialita’ e’ chiaro che Monti e Hollande vogliono rompere il ‘cerchio magico’ per cui le scelte di Van Rompuy e Barroso (Ue e Commissione) restano sempre nell’ambito delle ‘guideline’ tedesche. Si comprende cosi’ il tono allarmato del Fondo monetario internazionale, che in tre pagine ha spedito a Bruxelles dei consigli che ricalcano in buona parte la linea italiana e francese, molte delle quali sono indigeribili per la Germania. Almeno finora. Come gli Eurobond, per quanto mini e a scadenza breve, come l’indicazione di accettare e praticare il principio della condivisione del rischio sovrano, ricapitalizzare direttamente le banche deboli, “graduare” il consolidamento su scala continentale in modo tale da non uccidere la crescita.