LETTERA DA BRUXELLES Grecia, i mercati non credono al piano in tre mosse

Per quanto i ministri e i banchieri centrali europei affermino di tenere ben salde le redini della gestione della crisi greca, la situazione è davvero molto incerta perché i mercati continuano a non credere che per mettere la Grecia al riparo dal rischio di insolvenza bastino soluzioni morbide come il riscadenzamento dei rimborsi, cosa peraltro lontano dall’essere decisa vista la netta opposizione della Bce. Non a caso, al termine di una settimana in cui è stato delineato un piano in tre mosse per uscire dalla stretta, i rendimento dei titoli pubblici greci hanno raggiunto il massimo storico nei decennali (a 16,75%).



 Il piano in tre mosse sarebbe il seguente: prima mossa una nuova sterzata di riforme dell’economia, privatizzazioni accelerate e controllate direttamente dalla ‘troika’ Commissione Ue-Bce-Fmi; seconda mossa, la preparazione di un nuovo prestito (potrebbe essere fino a 60 miliardi di euro) da aggiungere a quello avviato l’anno scorso (110 miliardi) per evitare alla Grecia di presentarsi sul mercato nel 2012 per rifinanziare il debito; terza mossa, nella versione ‘dura’ allungamento delle scadenze dei titoli, nella versione ‘molle’ il semplice incoraggiamento degli investitori privati a mantenere l’esposizione complessiva sul debito greco su base volontaria. Si tratta di questo: convincere le banche internazionali ed europee a rinnovare i titoli in scadenza. E’ la strada seguita all’inizio del 2009 quando si fronteggiò la crisi finanziaria in alcuni paesi del centro e dell’est Europa e, in particolare, in Romania con un buco di finanziamenti nei successivi due anni che avrebbe potuto sfiorare il 10% del pil (l’operazione passo sotto nome di Vienna Inititive). Ed è quanto dovrà fare il governo portoghese, come hanno scritto nella dichiarazione comune i 17 ministri dell’Eurogruppo più quelli dei paesi che non fanno parte dell’unione monetaria.
 Di queste tre mosse solo le prime due sono certe e avverranno in parallelo, sulla terza c’è un gran mulinare di sciabole sia tra governi che con la Bce. In ogni caso, è stata presentata come una soluzione di “ultima istanza” cui ricorrere dopo il fallimento delle altre (e logicamente prima della scelta più drammatica: la ristrutturazione del debito con il taglio del valore dei titoli). Ad aumentare l’incertezza è anche il negoziato istituzionale per dotare l’Eurozona di un meccanismo permanente anti-crisi (Esm). La Francia sostiene Irlanda, Portogallo e Spagna che non vogliono inserire nella parte nobile del minitrattato internazionale sull’istituzione dell’Ems il riferimento alla partecipazione dei privati alla ristrutturazione del debito e l’inclusione della clausola di azione collettiva nei nuovi titoli con scadenza superiore all’anno a partire da luglio 2013. L’idea è citare questi principi nei ‘considerando’ (cioè nel preambolo) del Trattato e non nell’articolato, diminuendone così il valore giuridico vincolante. La Francia vuole limitare l’impatto negativo sui mercati della clausola di azione collettiva. Secondo i dati Bri a fine terzo trimestre 2010, proprio l’esposizione delle banche francesi verso la Grecia risultava la più elevata dei grandi paesi europei Germania compresa. La Germania, spalleggiata dal ‘fronte del nord’ (Olanda e Finlandia) e dall’Austria, vuole trasferire nell’articolato del trattato tutti i principi che riguardano il coinvolgimento dei privati affinché non ci sia alcun equivoco.
 Il motivo della contesa non è secondario: nel momento in cui i paesi che oggi si finanziano con i prestiti Ue e Fmi torneranno sui mercati, la certezza che in caso di rischio ‘default’ i privati sicuramente ci metteranno del loro può scoraggiare molti investitori. E’ per questo che il ministro delle finanze tedesche Wolfgang Schaueble ha ribadito al Brussels Economic Forum, il giorno dopo le riunioni fiume con i colleghi dell’Eurogruppo e dell’Ecofin, che mai come in questa fase i governi “non devono sottovalutare gli orientamenti delle opinioni pubbliche”. Schaueble si riferiva proprio al coinvolgimento prioritario dei privati nella gestione della crisi del debito.