Ocse, Fondo monetario internazionale e adesso la Commissione europea: la valutazione positiva del modo in cui in Italia è stata gestita la crisi economica e sono stati guidati i conti pubblici è largamente convergente e, aldilà di qualche decimale, ciò si riflette nelle stime di deficit e debito/pil quest’anno e l’anno prossimo. A parte l’Ocse, che si dimostra più generosa indicando una crescita del pil all’1,6% nel 2012 (che influenza anche l’andamento del deficit stimato addirittura più basso di un punto decimale della previsione del governo di 2,7%), l’ordine delle stime macro-economiche delle tre istituzioni è grossomodo in linea con le stime italiane. Il deficit/pil nel 2011 sarà per l’Ocse al 3,9%, per il Fmi al 4,3%, per la Commissione Ue al 4% per il governo italiano al 3,9%. La sfasatura arriva per il 2012: là dove il governo stima un deficit/pil al 2,7%, l’Ocse ‘sconta’ un decimo di punto percentuale, ma Fondo monetario e Commissione europea sono più tignosi dato che il primo vede il 3,5%, la seconda 3,2%.
Sulla carta o, meglio, in base alle stime, ciò significa che Fmi e Bruxelles pensano che per riportare il deficit/pil al 3% o sotto entro il 2012, che è e resta l’obiettivo concordato dall’Italia all’Ecofin e sempre confermato anche a livello dei capi di stato e di governo, sia necessario qualche aggiustamento in più rispetto a quelli previsti a Roma. In verità, almeno per quanto concerne la Commissione europea, non c’è grande preoccupazione. Il responsabile degli affari economici, il finlandese Olli Rehn, ha accuratamente evitato toni accesi invitando solo governo e parlamento a raggiungere gli obiettivi di deficit e debito rispettando “puntualmente” quanto da loro stessi deciso. La stima di un deficit a quota 3,2% dipende da un fatto preciso: Bruxelles è molto cauta sulle entrate derivanti dalla lotta all’evasione i cui effetti non possono essere previsti con sufficiente certezza.
Se le cose funzionano sui conti pubblici, per dirla con il commissario Rehn a patto che le misure di consolidamento siano attuate puntigliosamente, se funzionano (ecco un altro unanime riconoscimento) in termini di stabilità finanziaria grazie al sistema bancario e pure al debito privato relativamente basso, funzionano meno, molto meno, su velocità e intensità della crescita. Anche qui, Ocse, Fmi e Commissione convergono: in Italia c’è un problema strutturale di crescita che la fa restare in coda ai grandi paesi europei, a quelli del G7 e pure ai grandi paesi Ocse. Bruxelles valuta la ripresa in corso “moderata”, nel biennio 2011-2012 non accelererà a causa delle storiche debolezze strutturali con le esportazioni troppo dipendenti dalla domanda dell’Eurozona. Neppure un andamento lento dai costi unitari del lavoro permetterà di riguadagnare competitività. Di più: se ci sono dei rischi questi sono più verso un peggioramento della crescita che non verso un miglioramento (colpa di Nordafrica, prezzi dell’energia, tassi di interesse che potrebbero risultare più elevati). Il Fondo monetario nota che l’Italia “sta sperimentando una ripresa debole” che debole resterà, trattenuta da consumi privati smorzati e dal consolidamento del bilancio. Risultato: non ci sarà un aumento significativo dell’occupazione. Pesano i fatidici problemi strutturali che il Fmi elenca così: disparità regionali, pesante carico fiscale per di più distorsivo, inefficienza dell’amministrazione pubblica, regolazione del business e dei servizi elevata, dualismo del mercato del lavoro, basso livello di educazione, specializzazione nei prodotti di esportazione a basso valore aggiunto. Certo, ci sono stati dei progressi nelle riforme strutturali, per esempio il capitolo pensioni è stato adeguatamente affrontato, tra le misure del 2010 ci sono la riduzione degli oneri per avviare un’impresa, procedure facilitate per il fallimento, gare competitive per i contratti di pubblico servizio, ma ci sono troppi ritardi nelle liberalizzazioni (con segnali negativi come la reintroduzione delle tariffe minime dei servizi legali), occorrerebbe “un più alto grado di concorrenza nei servizi e nelle industrie a rete, una riduzione della proprietà pubblica specialmente a livello locale”.
Infine l’Ocse ha smentito la previsione/convinzione indicata dall’Italia allo scoccare della crisi e in tutto il periodo successivo in base alla quale il paese sarebbe uscito dalla crisi prima e meglio degli altri partner europei. Ha scritto l’Ocse nel rapporto pubblicato qualche giorno fa che in Italia “la recessione è stata più pesante” rispetto alla maggior parte dei paesi che fanno parte dell’Organizzazione, che finora “la ripresa è stata più debole” e che bisogna aspettare fino al 2014 per tornare ai livelli di crescita del 2007. La perdita di prodotto a causa della crisi è stata del 6%, peggio hanno fatto solo cinque paesi su 33 paesi (Irlanda, Islanda, Grecia, Slovenia e Ungheria; Germania e Francia si trovano rispettivamente al 19° e al 20° posto). Attualmente la forza della ripresa è “incerta”, ci sono segnali che indicano come possa restare “debole come è stata per diversi anni”.