Coordinamento politiche economiche con vecchi ingredienti

Sono due le novità più importanti della decisione presa dall’Eurogruppo sulla Grecia. La prima è che adesso esiste uno strumento per poter gestire le crisi finanziarie di un paese membro. La seconda è che è stata aperta la strada a un completamento dell’unione monetaria, che finora ha marciato con un solo pilastro ‘federale’, la Bce. Partiamo dallo strumento. Il meccanismo dei prestiti governativi ha un solo beneficiario potenziale, la Grecia. Ma potrebbe essere utilizzata la stessa soluzione nel caso in cui altri paesi si trovassero in condizioni analoghe. Per quanto giurino e spergiurino il contrario, ciò è di evidenza plateale. Non lo si dice pubblicamente soltanto perchè farebbe venire il sangue agli occhi alla cancelliera tedesca Merkel e perchè alimenterebbe la convinzione che ora nell’Eurozona esiste un ‘Pantalone’ pronto a pagare per evitare crisi sistemiche (un po’ come è avvenuto per le banche da salvare a tutti i costi).

 Che le cose stiano così è dimostrato dalla decisione del Vertice Ue (dunque non sarà solo un affare dell’Eurozona) di discutere entro l’anno le misure per gestire le crisi finanziarie. Non solo: strettamente collegato alla gestione dell’emergenza è l’annunciato intervento sulle regole del patto di stabilità. Che ciò implichi rimetter mano al Trattato come indicano i tedeschi o si possa lavorare ai margini, ancora non si sa. Anche qui, però, la direzione è tracciata: la contropartita per gestire la crisi di un paese con un intervento “comune” (almeno nell’Eurozona) deve essere un vincolo maggiore sulla disciplina di bilancio. Ma dato che questa non ha senso se non si interviene a monte, cioè prima che scoppino i guai, allora vanno strette le maglie del coordinamento e della supervisione delle politiche economiche che vanno estesi agli squilibri macroeconomici, alle grandi differenze di competitività. La Commissione europea ci sta lavorando e i primi frutti si vedranno alla riunione dell’Ecofin informale a metà aprile a Madrid.
  Eccoci arrivati alla seconda novità politica: questa costruzione, di cui esiste per ora solo il gradino ‘greco’ peraltro neppure testato, conduce necessariamente a un approfondimento dell’unione monetaria. Jean-Claude Trichet lo ha spiegato molto bene con poche parole: abbiamo una Unione Economica e Monetaria, dato che dell’acronimo UEM l’unica lettera visibile è la M di moneta, è il momento di rendere visibile anche la lettera E, l’unione economica. E’ bene dirlo subito: non è una strada spianata. Sulla carta la costruzione ingegneristica proposta dal Vertice Ue è perfetta, mescola in modo più coerente e intelligente tutti i già noti ingredienti che la politica comunitaria mette a disposizione. Tanto che è lecito domandarsi perché non sia stato fatto prima. In realtà le diversità di opinione, approccio e di interessi sono tante. Non emerge per ora una forte volontà di ‘unificazione’ delle politiche economiche. La riforma della strategia di Lisbona non comporterà vincoli importanti per i governi nazionali a rispettare gli impegni per aumentare la crescita potenziale (oggi sotto l’1% nella Ue). Per ora non c’è traccia di un sistema di incentivi-disincentivi. La Germania punta solo l’attenzione sulla disciplina di bilancio; al netto della propaganda sul governo economico, la Francia è realmente attenta solo al sostegno dei campioni industriali francesi o ai campioni europei se se nel capitale c’è una quota di maggioranza francese; l’Italia ha prodotto delle idee interessanti (fondo pmi, ruolo Cassa depositi e prestiti, rilancio del vecchio e sfortunato progetto Eurobond), ma su scala europea appare al rimorchio dei giochi condotti da altri primi attori; Regno Unito, Spagna, Portogallo, Irlanda sono alle prese con le ferite della crisi finanziaria; l’Olanda meno parla di Europa e meno alimenta le spinte nazionalistiche e anti-europee interne.
 Non ci sarà il cosiddetto ‘governo economico europeo’. Nel documento finale del vertice europeo si parla di “miglioramento del coordinamento delle politiche economiche” ed è quanto prescrive il Trattato. Coordinare per evitare che le scelte di un paese mettano a rischio l’equilibrio della Ue nel suo complesso: un minimo comune denominatore per evitare guai. L’altra sera i capi di stato e di governo dell’Eurozona hanno discusso un paio d’ore sulla differenza tra ‘governo’ e ‘governance’ arrivando a questa conclusione: nel testo in francese è scritto: “Il Consiglio europeo deve rafforzare il governo economico della Ue”; nel testo inglese: “Il Consiglio europeo deve migliorare la ‘governance’ dell’economia”. Il concetto di ‘governance’ è meno stringente. Il belga Van Rompuy, presidente Ue, ha liquidato la questione ricordando che la storia comunitaria è piena di “traduzioni asimmetriche”. Intanto, solo affiancare all’economia il termine ‘governo’ ha allarmato i britannici, in questa fase particolarmente pronti a rintuzzare qualsiasi tentativo di trasferire a Bruxelles qualcosa che possa lontanamente assomigliare a un nuovo potere.