In un recente studio pubblicato dal Center for Economic Policy Research, degli economisti Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff argomentano che, sulla base dell’analisi svolta su 44 paesi fra il 1790 e il 2009, i tassi di crescita media nei paesi con un debito pubblico superiore al 90% del pil sono risultati notevolmente inferiori rispetto ai paesi con debito più basso. Negli ultimi due secoli un debito pubblico superiore al 90% è risultato associato a una crescita media dell’1,7% contro il 3,7% quando il debito/pil era sotto il 30%, del 3% quando il debito/pil si trovava fra il 30 e il 60%, del 3,4% quando il debito/pil era fra il 60% e il 90%. Per l’Italia, fra il 1880 e il 2009, la crescita media con un debito/pil sotto il 30% è stata del 5,4%, fra il 30% e il 60% è stata del 4,9%, fra il 60% e il 90% è stata dell’1,9%, oltre il 90% dello 0,7%. Ecco perché l’intervento sull’indebitamento pubblico resta un’emergenza e i governi devono definire e comunicare piani credibili di riduzione di deficit e debito. Delle fatidiche ‘exit strategy’ si parla da febbraio-marzo 2009 ed è quasi passato un anno. Ormai è diventato un richiamo rituale abbastanza inascoltato. Si conoscono gli obiettivi finali di riduzione dell’indebitamento, non il modo in cui ogni governo intende arrivarci. Le ‘exit strategy’ note sono quelle messe in cantiere e in corso di attuazione dei paesi che hanno dovuto evitare il tracollo: Irlanda, Spagna e ora Grecia.
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