Nomine, peggio per Londra ma sarà l’Europa a farne le spese

Ora la partita torna ai governi. L’appuntamento è per il 19 a Bruxelles: i capi di stato e di governo cercheranno di dare un nome e un cognome al presidente permanente della Ue e al ‘ministro’ degli esteri. In cima alla lista dei papabili ci sono lo stinto premier belga Van Rompuy (cristiano democratico) e l’ex premier e ministro degli esteri Massimo D’Alema (unico candidato sostenuto a questo punto dal Pse). Ciononostante il premier svedese Reinfeldt è sconsolato perché l’insistenza britannica su Blair è un macigno sulle migliori intenzioni. Così corrono anche molti altri nomi. Londra si accorge di aver sbagliato completamente gioco e ora rischia di restare a bocca asciutta. Anche d’instinto è legittimo dire: peggio per loro. In ogni caso i motivi per cui non è giusto premiare chi ha eretto un muro di opt-out, di autoesclusioni, di deroghe alla compiuta integrazione europea (euro, frontiere, aspetti della politica sociale) e ha diviso l’Europa con la seconda guerra del Golfo sono tantissimi. Purtroppo ciò avrebbe un costo per tutti: galvanizzerebbe il fronte conservatore britannico, dato per vincente al voto del 2010 rafforzando automaticamente le posizioni euroscettiche sia nel Regno Unito sia altrove.