Belgio, Olanda e Lussemburgo hanno rotto gli indugi e si sono pronunciati contro Tony Blair presidente dell’Unione europea. Il loro candidato ideale deve avere una "visione globale delle politiche europee", deve aver dimostrato "il suo impegno per il progetto europeo" ed essere "sensibile all’equilibrio istituzionale che corrisponde al metodo comunitario". Sugli ultimi due Blair casca: il Regno Unito, che lui ha governato dal 1997 al 2007, non fa parte dell’unione monetaria, è fuori dagli accordi di Schengen (abolizione controlli alle frontiere); inoltrela sua candidatura ha diffuso tra i piccoli e medi paesi della Ue il timore che saranno privilegiati istanze e interessi dei grandi calibri. Di questi argomenti il più serio è il fatto che il Regno Unito non fa parte del "cuore" dell’Unione europea, non accettandone le politiche più avanzate (euro e frontiere). Quanto alla visione globale non si può dire che manchi a Blair, ma bisognerà pure ricordare il suo ruolo di punta nella spaccatura dell’Europa ai tempi della seconda guerra del Golfo per essersi schierato con gli Usa di George Bush. Smesso l'abito del premier, poi, è diventato rappresentante del Quartetto per il Medio Oriente (Usa, Russia, Onu e Ue), là dove ha brillato più per la sua assenza che per la sua presenza. Un buon argomento a favore, invece, è che una presidenza Blair potrebbe in teoria aiutare una riflessione nel Regno Unito sulla necessità di accettare pienamente una totale responsabilità politica "comunitaria" superando l’opposizione alla moneta unica. Ma è del tutto improbabile che ciò si verifichi a breve-medio termine, tanto più che i laburisti vengono dati per perdenti alle elezioni del 2010. E’ ormai chiaro, comunque, che i capi di stato e di governo non decideranno sul presidente a fine ottobre, ma più verosimilmente a metà dicembre