Un semiparadiso è sempre dietro l’angolo nonostante gli sforzi a livello internazionale (davvero sorprendenti) per tagliare le unghie alle storiche piazze fiscali libere o semilibere. Beninteso, è straordinario che la lista nera dei paradisi fiscali definita dall’Ocse sia vuota. Nessuna giurisdizione, infatti, è definita oggi ‘paradiso fiscale non cooperativo’ mentre ce ne sono poco più di trenta che si sono impegnati a non esserlo più ma non rispettano ancora tutti gli standard internazionali. Però, recentemente l’istituto di ricerca economiche di Berlino Diw ha calcolato che esiste uno scarto di 100 miliardi di euro fra i profitti accertati delle multinazionali tedesche e le somme debitamente tassate dal fisco. Motivo: le società approfittano della complessità kafkiana della legge federale. Tanto per fare qualche esempio: i costi per la partecipazioni a seminari possono essere dedotti perché considerati formazione professionale; oppure basta attribuire alle filiali estere dei costi sproporzionati per l’uso delle licenze della casamadre. In Europa c’è anche il caso di Malta, terra d’asilo per gli uffici Lufthansa, Puma, Basf, Bmw. La maggior parte delle società usufruisce di una tassazione dei dividendi al 5% per cui possono trasferire del tutto legalmente il 95% alla casamadre.