Anche se la geografia politica del nuovo Europarlamento non è sostanzialmente cambiata rispetto a prima, si possono intravvedere almeno due novità immediate nella politica europea. La prima riguarda le scelte sulla supervisione dei mercati finanziari. Già i laburisti britannici hanno resistito fin dall'inizio al trasferimento di poteri effettivi a una Autorità Ue su banche, assicurazioni e Borse: l’affermazione dei ‘tories’ e del partito eurofobo Ukip è destinata a rafforzare ancora più saldamente la difesa delle prerogative nazionali in materia di vigilanza e del ruolo centrale della City. Ogni mossa europea a Londra (come a Berlino d’altra parte) sarà preparata in funzione delle prossime elezioni nazionali (che prima o poi il governo britannico dovrà indire). Risultato: irrigidimento o paralisi. Forse entrambi. La seconda novità riguarda l’eurozona: il risultato britannico congela sul nascere quel germoglio di ottimismo circolato nei mesi scorsi in ambienti intellettuali e politici di area governativa sull'apertura di una discussione per l’ingresso nell'unione monetaria.
Altre due considerazioni. La prima: il voto ha messo sotto tiro i governi dei paesi più colpiti dalla crisi dalla crisi finanziaria e dalla recessione, Regno Unito, Germania, Spagna, Irlanda, Grecia, Lettonia, Ungheria e Bulgaria. La seconda: la conferma della posizione preminente del Partito popolare europeo rafforza il portoghese Josè Barroso. Ora ci sono tutte le condizioni per un secondo mandato come presidente della Commissione europea. Ci sono in giro troppi primi ministri deboli per avere un leader comunitario forte. Quelli forti non lo tollererebbero comunque.