Contro la deflazione lavorano petrolio e rigidità mercati

E’ un record storico un tasso di inflazione annuale a 0% nell’eurozona a maggio. Fa impressione anche se era già chiaro da diverso tempo che l’Europa andava in tale direzione. E’ a quota zero il tasso annuale di crescita dei prezzi in Germania (mensile a -0,1%), la Spagna ha collezionato tre mesi consecutivi sotto zero. A giugno e luglio dell’anno scorso il tasso di inflazione nell’eurozona era al 4% e la Bce portava i tassi di interesse ancora in salita (mentre sui mercati finanziari l’aria era già molto pesante anche da questa parte dell’Atlantico). Negli ultimi mesi del 2008 la disinflazione si è accelerata: la crescita dei prezzi decresceva all’1,6% in dicembre arrivando all’1,1% in gennaio, piccolo rialzino in febbraio a 1,2%, di nuovo la caduta a 0,6% in marzo, stabile in aprile.

Ora stiamo entrando nel regno dell’inflazione sotto zero giacché questa è l’attesa per i prossimi mesi. E si teme l’imboscata della deflazione, l’innesco di una spirale depressiva di ribasso dei prezzi e della produzione che spinge a rinviare gli acquisti nella speranza di pagarli meno domani. E’ vero che il fenomeno coinvolge mezzo mondo (in aprile inflazione Usa -0,7%, in Giappone -0,1%, Cina -1,5%), ciononostante governi e banche centrali non credono che le cose andranno così perché si tratta di una situazione transitoria, che durerà poco. Nell’era dei clamorosi paradossi ci si affida (o ci si aggrappa) a quei fattori che prima angosciavano e oggi contrastano scenari catastrofici. Per esempio il petrolio. Faceva molta paura a 147 dollari a barile meno di un anno fa, ora il prezzo è in zona 65 dollari con una previsione Opec a 75,80 dollari al momento della ripresa. Si fa il tifo perché tale aspettativa si realizzi. Ecco una manna anti-depressiva.

Altra manna anti-depressiva che frena una caduta generalizzata dei prezzi è la tanto deprecata rigidità delle economie locali (dal punto di vista dell’insieme dell’eurozona), là dove prezzi e salari sono poco flessibili e c’è scarsa concorrenza. In Italia per esempio (inflazione +0,9% in maggio rispetto a un anno fa).

Terzo segnale positivo, la spesa per consumi aumenta in Francia oltre le attese e le vendite al dettaglio aumentano pure in Germania. In ogni caso va aggiunto che nei prossimi mesi si teme un boomerang sui consumi a causa del peggioramento delle prospettive dell’occupazione.

Da mesi la Bce insiste su un punto: non confondere disinflazione e deflazione. La prima è una caduta dei tassi di inflazione dovuta a riduzioni dei costi dal lato dell’offerta (come miglioramento della produttività senza aumento proporzionale dei salari o della concorrenza, calo delle tariffe dei servizi, dei prezzi dei prodotti energetici). La deflazione è un calo persistente (non temporaneo come può essere la discesa dei prezzi nel processo di disinflazione) di una serie molto ampia di prezzi, discesa che si autoalimenta spingendo investitori e consumatori a rinviare gli acquisti.

Nel caso dell’eurozona è il primo fenomeno che sta dispiegando i suoi effetti, guidato dal calo passato dei prezzi dei prodotti energetici e dei beni alimentari trasformati e freschi. Tali componenti pesano nel paniere di riferimento statistico per un terzo. Se non venissero conteggiati nel calcolo complessivo, tra luglio 2008 e gennaio 2009 si osserverebbe che la crescita dei prezzi dei restanti due terzi del paniere è rimasta grossomodo stabile attorno all’1,8%.

Secondo la Bce, gli effetti cumulati delle due componenti continueranno ad avere un impatto negativo fino a luglio per cui l’inflazione complessiva potrà essere negativa a metà anno. Ma da agosto dovrebbero cominciare a sentirsi gli effetti del recente aumento dei prezzi petroliferi.Scarica BOLLETTINO BCE