Dopo aver guadagnato qualche gallone per il modo in cui sta gestendo la crisi finanziaria e la recessione, a cominciare dalla difesa intelligente delle regole di concorrenza, la Commissione europea ha perso subito terreno con la febbre suina. Nel maldestro tentativo di compensare una drammatica assenza di coraggio nell'individuare misure rapide in seguito alla diffusione del virus, se n'è uscita con una stravagante trovata nominalistica: per noi, ha detto la commissaria cipriota Androulla Vassilou, la malattia non deve essere chiamata influenza suina bensì nuovo virus dell'influenza.
Due i motivi: evitare confusione con una malattia animale e non danneggiare il settore soprattutto in un periodo di crisi economica (a parte la doccia fredda di una pandemia sull'economia globale nel momento in cui si manifestano primi segnali positivi controtendenza della congiuntura, negli ultimi giorni si è notato il tocco pesante delle lobby degli allevatori e dell'industria alimentare). Ora, se è vero che il contagio viene trasmesso da persona a persona, è certo che l'influenza con i suini c'entra dal momento che il nuovo virus, indica la stessa Commissione, contiene geni derivanti da maiali, uccelli e virus dell'influenza umana. Dopo aver subito una mutazione il virus, che inizialmente passava da animale a uomo, ora si trasmette da uomo a uomo contrariamente a quanto accade con l'influenza aviaria. Di qui il rischio di pandemia. Giusto fare le necessarie distinzioni, anche perchè ne discendono precisi comportamenti di difesa, ma se davvero i maiali non c'entrano perchè la Commissione europea continua a dire che la carne è sicura "a condizione che si mangi cotta"? La commissaria cipriota sembra volersi specializzare nel ruolo di pompiere: pressata da qualche governo per una decisione coordinata sul blocco dei voli verso il Messico, il suo primo commento all'annuncio che l'Oms è stato: "Non farsi prendere dal panico, restare prudenti e vigilanti". Le acrobazie verbali sono sempre state all'ordine del giorno a Bruxelles e spesso sono la condizione indispensabile per far camminare la Ue senza farla precipitare nella paralisi. Rientra nella logica delle cose. Nel caso dell'influenza suina si è sfiorato il ridicolo.
La cosa non sarebbe rilevante se anche nel palazzo di fronte a quello della Commissione, dove ha sede il Consiglio Ue, non si seguissero logiche simili. Un ultimo caso riguarda l'Est. I ministri dell'Ecofin hanno deciso di proclamare la fine del 'muro' economico e sociale tra i 15 vecchi paesi dell'Unione e i nuovi 10 membri dal 2004. L'Ecofin ritiene arrivato il momento di smettere di parlare di membri "vecchi e nuovi" della Ue: "Dividere gli stati membri tra vecchi e nuovi ha perso significato". Benissimo, siamo immersi tutti quanti nella ecessione e trionfa il motto 'mal comune mezzo gaudio'. Peccato che quel muro sia ancora in piedi e piuttosto alto. Cinque anni dopo il big bang dell'allargamento della Ue, Germania e Austria hanno deciso recentemente di mantenere le restrizioni all'accesso dei lavoratori dell'Est, i quali dovranno continuare a chiedere un permesso se vorranno lavorare. Immediata la reazione della presidenza Ue, tenuta dalla Repubblica ceca che si trova fra gli otto paesi discriminati da Berlino e Vienna: si tratta di una misura "ingiustificata".