Mai come in questo periodo la ‘ministra’ degli esteri europea Catherine Ashton è sotto il tiro delle critiche: debole, non ha presa sui dossier, non ha iniziativa, non ha la capacità di esercitare una ‘leadership’ tra i ministri degli esteri (quelli veri), il suo ruolo nella Commissione, di cui è vicepresidente, è pallido. Naturalmente se la politica estera e di sicurezza europea non esistono in quanto tali (se ne avuta una prova con la Libia) non è colpa di Ashton, ma dei governi che ce l’hanno messa (tutti) e che non vogliono, appunto, una politica estera e di sicurezza comune. Certo, il basso profilo della baronessa britannica laburista non aiuta. Se la carica di Alto rappresentante non funziona per la politica estera magari potrebbe funzionare con l’economia, deve essersi allora detto il commissario al mercato interno Michel Barnier, francese, che rilevato come sia del tutto logico che presidente dell’Eurogruppo e vicepresidente della Commissione europea per gli affari economici dovrebbero essere la stessa persona. Travolti da ben altri problemi, sempre in corsa a turar falle che si aprono ora in Portogallo ora in Grecia, nessun ministro ha avuto il tempo di dedicare alla questione (qualora se ne fosse accorto) neppure un minuto. Forse, però, vale la pena di rifletterci. Il vantaggio sarebbe enorme: si dimostrerebbe che la politica economica comune è davvero al centro dell’azione europea e dei governi. Ma, a parte il fatto che la Commissione è 27 mentre l’Eurogruppo è a 17, un a tale prospettiva implica anche un rischio: se il ‘superministro’ dell’Eurogruppo agisce su mandato dei governi, come potrà smarcarsi da loro nel momento in cui deve esercitare il controllo comunitario su quanto i governi fanno e disfano?