“Forse non tutto viene per nuocere”. E’ questo il commento espresso da un alto funzionario europeo sotto garanzia dell’anonimato sulla diatriba Fmi-Commissione europea sugli errori compiuti nella gestione della prima fase della crisi greca, in particolare sul primo programma di salvataggio del 2010. Perché nei ‘palazzi’ europei sono sempre più convinti che ad un certo punto nel 2014 i governi dell’Eurozona faranno una ulteriore mossa a sostegno della Grecia con l’obiettivo di alleggerire il debito che quest’anno arriverà a quota 185% del prodotto ed è già certo non potrà essere portato sotto quota 110% entro il 2022 sulla base delle misure previste attualmente. Non ci sono dettagli, non c’è neppure uno di quei ‘non paper’ scritti dalla Commissione europea per saggiare il terreno. Manca parecchio tempo, soprattutto ci sono di mezzo le elezioni di settembre in Germania, ma la traccia è tracciata. L’appuntamento è per aprile.
Pur senza sbilanciarsi sui dettagli, lo stesso presidente Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem si è riferito dopo i recenti incontri ad Atene alla prospettiva che i ministri delle finanze discutano in futuro “se necessario” un nuovo intervento per il debito a patto che la Grecia assicuri un surplus del bilancio primario e attui “pienamente” il programma di aggiustamento concordato con Eurozona, Fmi e Bce. E’ evidente ormai che il debito ellenico è insostenibile. Nel rapporto sulla Grecia il Fondo monetario si è riferito espressamente alle “assicurazioni da parte dei partner europei della Grecia che considereranno in futuro ulteriori misure e assistenza, se necessario, per ridurre sostanzialmente il debito/pil sotto il 110% entro il 2022. Secondo fonti elleniche, l’operazione potrebbe consistere nell’allungamento delle scadenze dei prestiti a tassi vicino allo zero. La stessa operazione che i ministri finanziari si accingono ad approvare in via definitiva fra dieci giorni a Lussemburgo per Irlanda e Portogallo (scadenze allungate in media di 7 anni) con l’obiettivo di sostenere il ritorno dei due paesi al finanziamento del debito sovrano sul mercato. D’altra parte, l’anno prossimo Atene testerà il mercato con una emissione di titoli pubblici di portata limitata. Siamo dunque ai primi passi di una ‘exit strategy’ che per la Grecia, comunque, durerà molti anni.
Il legame tra la diatriba sugli errori nella gestione della crisi del debito sovrano, e della Grecia in particolare, e le misure alle quali si sta pensando viene spiegato così: “Una riflessione sui ritardi, sulle scelte rimandate, sulla sottovalutazione dell’impatto del consolidamento del bilancio sull’economia greca da parte della Commissione europea, tenendo conto dei risultati nel riassestamento del bilancio e delle riforme strutturali, apre automaticamente spazi di manovra in futuro: i greci, se rispetteranno gli impegni, possono avere una ragione in più per chiedere qualcosa di più”, indica la stessa fonte europea.
Restano i temi sollevati dalla diatriba: il Fmi ha aperto il fronte anche con l’intento di far sapere all’Europa che se ci fossero altri Stati da salvare con problemi di debito estremi, parteciperà solo se ci si accorderà su una ristrutturazione (che sarà costosa sia per i creditori privati sia per i creditori pubblici, europei in primo luogo). Le pressioni in questo senso dei grandi azionisti Fmi sono sempre molto forti: Usa, Brics. La Commissione europea si è chiusa a riccio promettendo un’analisi retrospettiva sulla Grecia che non si sa quando sarà pubblicata: troppo poco da parte di una istituzione che troppe volte pensa di essere sempre nel giusto limitandosi a spiegare ex post di aver sostenuto le posizioni un tempo respinte e oggi alla ribalta, come sul ‘patto più tempo nella correzione dei bilanci pubblici contro riforme strutturali’. Una posizione troppo comoda.