Comunque lo si guardi, l’accordo sulla risoluzione bancaria è un fatto di grande importanza: il quadro dell’unione monetaria risulta più solido, la supervisione sotto egida Bce che sarà operativa da novembre 2014 non vivrà in solitudine con il rischio di dover prendere decisioni senza la certezza che possa effettivamente realizzarsi. Certo, non tutte le caselle sono a posto o chiare. Per molto tempo ancora non ci sarà un paracadute finanziario pubblico (backstop), il periodo di transizione al Fondo unico di risoluzione è lunghissimo (dieci anni), non sono chiari i termini del finanziamento sul mercato del nuovo organismo. Per ovviare a tali limiti è stato creato un complesso sistema per far fronte ai casi (rarissimi si dice) in cui non basterà il ricorso al contributo prioritario di azionisti, creditori e grandi depositanti, non basterà neppure il ricorso al Fondo di risoluzione. Prestiti tra fondi nazionali, finanziamenti-ponte, coinvolgimento dell’Esm (tramontata la ricapitalizzazione diretta delle banche per il rigido no tedesco). Se ci sono ricaschi sui bilanci pubblici, pagheranno ex post le banche (che già finanziano i fondi di risoluzione con prelievi ad hoc). C’è anche un sistema decisionale macchinoso, ma almeno è chiaro che la Bce chiede di far fallire una banca, l’autorità di risoluzione decide e si procede 24 ore dopo se non ci sono obiezioni dei governi su proposta della Commissione. Sarebbe sbagliato sottovalutare la novità della mutualizzazione progressiva dei Fondi nazionali di risoluzione, concetto sempre negato dalla Germania. Si dirà che è facile mutualizzare denaro altrui (in questo caso delle banche), ma non si puo’ non ricordare quanto sia forte e pervasivo in Germania l’intreccio tra mondo bancario e politica. Mutualizzare implica condivisione, cambiamento di scopo e di prospettiva che a questo punto non puo’ più essere nazionale (o solo nazionale). Da questo punto di vista, la ‘risoluzione’ potrebbe anche essere, a termine, una mezza rivoluzione.
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