LETTERA DA BRUXELLES Passo falso di S&P, ma occhio alle mosse politiche dell’Unione

Quello di Standard&Poor’s è stato un passo falso: ha declassato l’Unione europea togliendola dall’Olimpo della tripla A per una ragione che magari poteva avere qualche senso un mese fa, ma adesso davvero no. I rilievi sono tre: il livello di coesione politica della Ue si è indebolito; il negoziato sul bilancio Ue 2014-2020 è stato lunghissimo e ha richiesto ben due Consigli europei per concludersi; il quadro politico-istituzionale è confuso anche perché un grande paese, il Regno Unito, intende sottoporre a referendum la scelta restare o meno nella Ue e non era mai accaduto. Il perché della figuraccia è semplice: il bilancio Ue è stato concordato meno di un mese fa, il Trattato proibisce che possano formarsi deficit e debito e gli Stati sono obbligati a versare le loro quote e hanno sempre pagato. Non c’è un probIema di finanziamento. Non c’è mai stato. E’ stato un autogol. In più i mercati se ne sono infischiati, segno che l’evento è irrilevante e che continua a durare una fase ormai lunga in cui un’agenzia di rating declassa e non succede quasi nulla, come quando il declassamento ha colpito gli Usa, la Francia, ultimamente l’Olanda.

  Ovvio che la Commissione e diversi leader europei abbiano avuto ampio spazio per reagire a S&P. D’altra parte né Fitch né Moody’s sembra seguiranno la concorrente. Il declassamento dell’Unione europea non è un evento che impressiona i mercati visto che non sono coinvolte la Banca europea degli investimenti e neppure l’Esm. Certamente il contesto è quello di molti paese dell’area che progressivamente perdono la tripla A. Sono rimasti in sei, nell’Eurozona in tre: Lussemburgo, Germania e Finlandia. Tutto vero, ma che cosa c’entra con il bilancio Ue? Nulla. Avrebbe più senso prendersela perché il bilancio Ue è una goccia nel mare dell’economia europea (1% del pil) e la sua manovra indice pochissimo sul ritmo di crescita generale. Pero’, dice l’agenzia di rating, se è vero che la Ue chiede prestiti sul mercato per prestare a paesi terzi (per programmi di cooperazione e sviluppo) il suo peso non è cosi’ irrilevante (a dicembre 56 miliardi).

  Colpisce in ogni caso la scelta del calendario: la pubblicazione del rating in piena riunione dei capi di Stato e di Governo, cosa che naturalmente è stata enfatizzata parecchio. Non è la prima volta: due anni fa S&P due giorni prima del Vertice aveva minacciato di declassare il rating di quindici paesi dell’Eurozona su 17, ma era il durissimo inverno 2011, con i governi nel pieno della crisi del debito sovrano (a Palazzo Chigi era appena arrivato Mario Monti dopo la caduta del governo Berlusconi). Non bisogna esagerare sul calendario, ormai ci sono vertici ministeriali a ripetizione in tutte le stagioni. La coincidenza è fastidiosa ma cio che è importante è che le agenzie di rating rispettino le regole relative alla chiusura e alla riapertura dei mercati.

  Appurato che l’Unione europea è una istituzione in grado di finanziarsi in modo credibile e di finanziare le politiche esterne (ed Euratom) in modo altrettanto credibile, restano le incertezze politiche cui S&P allude, di cui sarebbe sbagliato sottovalutare la portata. Il riferimento al Regno Unito è molto chiaro. E’ la prima volta che da Londra un governo lancia sulla Ue una grande nuvola di incertezza per il referendum: stare dentro o stare fuori? Inevitabile che l’intera Unione ne risulti ostaggio ed è cosi’ da mesi. Non c’è dossier, regolazione, legge, su cui i britannici non sparino cannonate e peggiorerà man mano che ci si avvicina al voto europeo. Il referendum sarebbe per il 2017, ma nel 2015 ci sono le elezioni politiche. E’ un fatto che nel 2014-2015 dovrebbero arrivare i frutti di una ‘governance’ economica migliore, c’è la Bce che vigilerà le banche, il sistema di salvataggio/ristrutturazione/risoluzione in fase di negoziato finale con il Parlamento. Esiste un quadro di responsabilità e di controlli che dovrebbe impedire di riprecipitare nel dramma finanziario. Ma se con l’indebolimento della “coesione” politica si sfalda anche il senso di appartenenza al fatidico “destino comune europeo”, sarebbe un auto-declassamento politico generale.