Il confronto sulla riforma delle regole di bilancio è decollato anche se una proposta completa e formale della Commissione sarà presentata solo dopo la prossima riunione del Consiglio europeo (23-24 marzo a Bruxelles): il primo “giro di tavolo” del confronto fra i ministri finanziari c’è stato la settimana scorsa, ce ne sarà un altro il 14 marzo. È sulla base di questi “input” politici che la Commissione presenterà una proposta dopodiché partirà il negoziato vero e proprio. Per ora non è chiara quale potrà essere quella che nei palazzi Ue viene chiamata “landing zone”, l’area di atterraggio delle discussioni. In sostanza, quale potrebbe essere il minimo comune denominatore per un compromesso. L’arco delle divergenze è ampio, ma essenzialmente ruota su due aspetti: l’analisi di sostenibilità del debito e il suo utilizzo per determinare la categoria di rischio dei paesi e il percorso di aggiustamento dei bilanci, da un lato; il margine di discrezionalità della Commissione europea rispetto al quadro di riferimento per gli obiettivi di deficit e debito/pil, dall’altro lato.
La Bce non è coinvolta direttamente in questa fase di discussione preliminare: al Parlamento europeo Christine Lagarde si è limitata a ribadire che la riforma della “governance” economica è una delle condizioni per garantire la stabilità dell’euro (l’altra è una sempre maggiore integrazione finanziaria dal lato del mercato dei capitali e dal lato di una completa unione bancaria della quale manca ancora la “gamba” dell’assicurazione comune di ultima istanza dei depositi). Tre gli obiettivi: un quadro di riferimento per i bilanci più semplice e prevedibile; una più forte “titolarità” nazionale e un’attuazione “sostenuta” delle regole. In altre parole, massima responsabilità dei paesi nel fissare le politiche di bilancio alla luce dei vincoli comuni stabiliti e concordati e nel rispetto degli impegni assunti. Lagarde non ha citato l’obiettivo strategico da anni ritenuto dalla Bce un pilastro decisivo: la creazione di una “capacità di bilancio” dell’area euro quale strumento di stabilizzazione macroeconomica e di convergenza, però non ci sono ragioni per ritenere che non lo ritenga tuttora estremamente importante.
Eppure la Bce, certo concentrata come è ovvio sulla “pista” monetaria da seguire nei prossimi mesi in merito alla quale le divergenze appaiono negli ultimi giorni assai ampie (rallentare l’aumento dei tassi dopo un altro +0,50% a marzo oppure proseguire imperterriti?), non è affatto estranea alla partita del patto di stabilità. Anche su questo, non solo sulla “pista” monetaria, le divergenze non sono da poco. Ed è quanto è emerso negli ultimi giorni: a livello diverso e in contesti diversi, Bundesbank e Banca d’Italia hanno espresso posizioni e valutazioni sulla riforma della “governance” economica opposte. Riflettendo pressocché fedelmente la sostanza delle divergenze emerse nelle discussioni all’Ecofin tra i ministri.
Presentando una “lezione” all’istituto di ricerca economica Diw di Berlino il presidente della Bundesbank Joachim Nagel ha esposto con molta chiarezza ciò che pensa di quanto si sta discutendo all’Eurogruppo e all’Ecofin, cominciando, non a caso, il suo intervento sulle “regole fiscali” con una frase di Jean Monnet (1952): “Questa Unione non può basarsi solo sulla buona volontà. Le regole sono necessarie”. Sono “un’àncora di fiducia nei mercati dei capitali”, ha aggiunto Nagel. Le proposte della Commissione, sostiene il numero 1 della Bundesbank, vanno però in una direzione diversa, puntano a negoziati sugli obiettivi di bilancio “con ciascuno stato membro individualmente” per cui “le norme di applicazione generale verrebbero abolite”. Non costituiscono “un modo adeguato per sviluppare ulteriormente il quadro di bilancio comune verso una maggiore trasparenza e una maggiore forza vincolante. C’è invece il rischio di limiti fiscali ammorbiditi, la cui derivazione è di difficile comprensione. La riduzione degli elevati indici di indebitamento potrebbe quindi essere rinviata. Chiunque viaggi su terreni tortuosi sa che le barriere di sicurezza troppo deboli sono pericolose, soprattutto in condizioni esterne difficili. Abbiamo quindi bisogno di un insieme di regole più solido”.
Secondo Nagel il compito attuale “è ancorare più saldamente i ‘guard rail’ rendendo le regole più chiare e trasparenti. I poteri discrezionali dovrebbero essere limitati, le eccezioni dovrebbero essere limitate a gravi crisi”. Ciò perché alla fine “il livello europeo non può imporre il rispetto delle regole” dato che gli stati membri «hanno l’ultima parola sulle loro finanze». Quanto all’idea di risorse comuni, certamente “si potrebbe desiderare una maggiore responsabilità solidale e condivisione del rischio, ma poi dovrebbero seguire anchepoteri di agire in materia di bilanci perché responsabilità e azione appartengono a una sola mano. Per fare ciò, dovrebbe essere trasferita a livello comunitario una maggiore sovranità nazionale». Una prospettiva per la quale “non vedo la volontà politica per questo al momento». Di qui la massima soddisfazione di Nagel per lo stop a qualsiasi illusione di replicare il modello Next Generation EU finanziato con debito comune: “Accogliamo inoltre con favore il fatto che la Commissione non stia proponendo un aumento del debito Ue per il piano industriale del Green Deal”.
La Banca d’Italia si è espressa alla commissione bilancio della Camera con una “testimonianza” del capo dipartimento economia Sergio Nicoletti Altimari. Fin dalle prime battute si capisce che lo sguardo va in direzione opposta a quello della Bundesbank. “La proposta della Commissione rappresenta un passo avanti perchè si concentra sulla sostenibilità dei conti pubblici piuttosto che sulla calibrazione precisa della politica di bilancio, mira a ridurre la complessità del quadro di regole, ad aumentare la titolarità nazionale, a trovare un migliore equilibrio fra prudenza e realismo (e quindi credibilità) dei percorsi di aggiustamento di ciascun paese», ha sostenuto Nicoletti Altimari apprezzando il fatto che anche a Bruxelles ci si è resi conto che “le regole di bilancio non possono essere né definite puntualmente per tutte le possibili circostanze né basate unicamente su criteri numerici stabiliti ex ante». Di qui la necessità che «le istituzioni deputate al rispetto delle regole abbiano un adeguato margine di flessibilità».
“Condivisibile” la scelta di fare della dinamica di medio periodo del rapporto debito/pil “il cardine dell’intero sistema di regole, scelta sulla quale è emerso un ampio consenso. Si tratta di una grandezza semplice da comunicare e – più di ogni altro indicatore di finanza pubblica – costantemente all’attenzione degli investitori e dei mercati». Che si fonda «su un processo di contrattazione bilaterale tra istituzioni europee e ciascuno stato membro, e si traduce in un ‘contratto’ che vincola tutte le parti, i cui contenuti non sono limitati da obiettivi numerici stabiliti ex ante e uguali per tutti i paesi». È la cosiddetta “bilateralizzazione” osteggiata da diversi governi, a partire da quelli tedesco e olandese.
Non tutto però è chiarito dalla Commissione, secondo Nicoletti Altimari, che individua elementi critici. Per esempio il ruolo dell’analisi di sostenibilità del debito utilizzata per definire categoria di rischio del paese e percorso di aggiustamento “fiscale”. Giusto avere trasparenza ex ante ed equità di trattamento nell’applicare le regole per tutti i paesi, “tuttavia gli esiti di qualsiasi analisi di sostenibilità del debito sono molto sensibili alle ipotesi sottostanti, sono difficili da comunicare in modo corretto non solo al pubblico in generale ma anche agli investitori, inoltre classificare i paesi in tre gruppi su quella base rischia di determinare trattamenti significativamente diversi per casi molto simili e viceversa».
Di conseguenza, il quadro normativo «potrebbe limitarsi a stabilire alcuni principi generali, per esempio a richiedere che, a parità di altre condizioni, la correzione dei conti pubblici dovrebbe essere tanto più rapida quanto maggiore è il debito iniziale, minori sono le stime di crescita del prodotto potenziale, maggiore è la sensibilità della spesa per interessi agli chocmacroeconomici e finanziari». Per evitare discrezionalità ingiustificata e ridurre il timore di un’applicazione sbilanciata a favore di alcuni paesi, «si potrebbe fare maggiore leva – oltre che sul multilateralismo garantito in seno al Consiglio – sulle istituzioni di bilancio indipendenti nazionali, coadiuvate dall’European fiscal board, affidando loro la validazione delle previsioni tendenziali dei conti pubblici e della quantificazione delle misure discrezionali”. E anche per “circoscrivere la discrezionalità della Commissione europea, potrebbe essere utile stabilire che il percorso di aggiustamento in caso di mancato accordo circa il piano nazionale sia uguale per tutti e basato su un criterio numerico stabilito ex ante: i paesi potrebbero ad esempio essere chiamati a ridurre il rapporto debito/pil a un ritmo prestabilito» però inferiore al “ventesimo” delle regole attuali (tutti sono d’accordo che l’obbligo di ridurre la parte di debito/pil eccedente il 60% di un ventesimo all’anno è da abolire perché irrealistica e per questo mai messa in pratica).
Infine le sanzioni, sulle quali la Commissione non ha prodotto “elementi particolarmente innovativi» e l’assenza di fatto del tema di una capacità di bilancio europea quantomeno per interventi centralizzati a fronte di choc particolarmente gravi. Pur suggerendone l’opportunità, Bruxelles non ne propone l’introduzione. Per Bankitalia, una tale prospettiva non può essere archiviata. Così come non può essere archiviata l’idea di istituire, in attesa di un futuro strumento finanziario permanente per la stabilizzazione economica, una replica di Next Generation EU.