Inflazione, auto Ue-Usa e regole bilancio, la tripla partita europea sull’economia

C’è una tripla partita sull’economia che si sta giocando nella Ue: la prima è senz’altro quella energetica ed è ovviamente legata all’inflazione; la seconda è la risposta alla scelta americana di forzare la competitività delle auto “made in Us” a detrimento della concorrenza europea; la terza è la riscrittura delle regole di bilancio che si intreccia, volente o nolente, con l’attuazione dei Pnrr, i piani di ripresa e resilienza finanziati con debito comune europeo. Si tratta di tre partite che si intersecano sia dal punto di vista politico che dal punto di vista economico: se queste tre partite non vengono concluse in modo coerente sarà più difficile fronteggiare i prossimi mesi che saranno di recessione, come ha confermato oggi il commissario all’economia Paolo Gentiloni, così come il periodo successivo che potrebbe essere lungo a meno che non finisca la guerra in Ucraina. Né l’Eurogruppo oggi né l’Ecofin domani arriveranno a decisioni concrete, tuttavia i tre temi sono tutti sul tavolo e lo resteranno a lungo.

Per quanto concerne l’inflazione, i ministri dell’area euro scommettono sul fatto che picco massimo della crescita dei prezzi sia stato raggiunto a ottobre, 10,6%: la stima flash di Eurostat ha indicato per novembre un calo al 10% per la prima volta da un anno e mezzo. La Bce è rimasta dubbiosa probabilmente per non alimentare l’aspettativa di correzioni immediate del ritmo dei prossimi aumenti dei tassi. La stima di un mese, flash per di più, non è un segnale consolidato, occorre attendere. La cosa certa è che i governi continuano a essere seriamente preoccupati per due ragioni. Da un lato non possono andare contro corrente rispetto alla stretta monetaria largheggiando sui deficit pubblici: di qui i richiami generalizzati a leggi di bilancio 2023 estremamente prudenti e, soprattutto, il richiamo di Bruxelles a ridurre le misure di sostegno generalizzato a imprese e famiglie a favore di misure molto più mirate. Dall’altro lato gli effetti sociali dell’inflazione costituiscono un potenziale fattore di destabilizzazione (anche politica).

L’ultimo rapporto dell’Organizzazione internazionale del lavoro è preoccupante: per la prima volta in questo secolo i salari reali sono calati su scala mondiale (-0,9%) nella prima metà dell’anno. In Italia l’inflazione ha eroso i salari di quasi sei punti percentuali, misura più che doppia rispetto alla media dei paesi Ue. Ciò avviene dopo una crescita modestissima dei salari dello 0,1% nel biennio 2020-2021 a fronte di +17% per la media dei paesi Ue. Nel periodo fra il 2008 e il 2022 solo in Italia, Giappone e Regno Unito i salari reali hanno registrato livelli inferiori quest’anno rispetto al 2008 e in Italia si registra il calo maggiore, -12%.

Per quanto riguarda la partita commerciale Ue-Usa, l’incontro a Washington fra Biden e Macron ha certamente svelenito la polemica, ma è tutto da vedere se e su quali contenuti ci sarà un chiarimento per evitare che l’Ira americano scarichi i suoi effetti distorsivi sull’auto “made in Europe”. Ira sta per Inflation Reduction Act, la legge con la quale gli Usa immettono nell’economia 400 miliardi di dollari per agevolare la transizione “green”, con misure tra cui massicce agevolazioni ai consumatori per spingerli a “comprare made in Us”: si prevede un credito di imposta di 7500 dollari per l’acquisto di un’auto elettrica nuova, 4 mila dollari nel caso di una usata. Le auto devono essere assemblate in Nord America e i materiali, specie i “minerali critici” con i quali si producono le batterie, devono essere americani o provenire da un paese che ha un accordo di libero scambio con gli Stati Uniti.

Si tratta di condizioni che stanno allarmando seriamente la Ue come la Corea del Sud. La Francia punta a intestarsi questa “battaglia” per la sovranità industriale europea. Oggi il ministro delle finanze Le Maire ha spiegato che all’Ira americano si risponde con un Ira europeo. A Berlino vengono usate più o meno le stesse parole.

Nel fine settimana la presidente della Commissione von der Leyen ha rilanciato un’idea avanzata l’anno scorso e finora lasciata cadere: istituire un “fondo per la sovranità” per sostenere finanziamenti comuni europei alla politica industriale rafforzando le risorse esistenti con finanziamenti nuovi e aggiuntivi.

La valutazione delle scelte di Biden è particolarmente dura: “Esiste

il rischio che l’Ira possa portare a una concorrenza sleale, chiudere i mercati e frammentare le stesse catene di approvvigionamento critiche che sono già state testate dalla pandemia”, dice von der Leyen contestando la logica del “Buy American”, le agevolazioni fiscali che potrebbero portare a discriminazioni, i sussidi alla produzione che potrebbero portare a una corsa alle sovvenzioni su scala globale. In sintesi, ha spiegato von der Leyen, “un consumatore negli Stati Uniti ottiene uno sgravio fiscale quando acquista veicoli elettrici, fabbricati in Nord America. Un produttore di batterie per quegli stessi veicoli elettrici ottiene uno sgravio fiscale se produce negli Stati Uniti. Ciò significa che una casa automobilistica ottiene un doppio vantaggio per la produzione in Nord America e l’acquisto di parti negli Stati Uniti. Ciò potrebbe anche attrarre componenti critici e materie prime verso gli Stati Uniti e lontano dalle catene di approvvigionamento transatlantiche. E crea ovviamente un contesto di investimento attraente nella tecnologia pulita negli Stati Uniti e potrebbe influenzare anche lla base tecnologica pulita dell’Europa, reindirizzando i flussi di investimento. Abbiamo tutti sentito le storie di produttori che stanno valutando di trasferire futuri investimenti dall’Europa agli Stati Uniti”.

Bruxelles deve elaborare in fretta una risposta agendo anche sull’adattamento delle regole sugli aiuti di stato alle imprese. Sono temi assai controversi nella Ue: paesi con margine di bilancio per aiuti alle imprese – tanto più se flessibili – sono meno sensibili a soluzioni europee. Tanto è vero che il ministro delle finanze tedesche Lindner ha subito dichiarato che se la Commissione intende procedere sulla strada di un nuovo debito comune europeo, Berlino farà sbarramento. Mentre la ministra olandese Kaag chiede “dettagli, su queste materie occorrono dettagli”.

Infine le regole di bilancio. È la prima volta che i ministri delle finanze fanno un “giro di tavolo” sul tema della “governance” economica avendo come base una serie di orientamenti elaborati dalla Commissione. Non si è ancora entrati nel vivo di un confronto perché una proposta dettagliata ancora non c’è, tuttavia la via è tracciata: percorsi di aggiustamento dei deficit e di riduzione del debito pubblico spalmati su periodi più lunghi (4-7 anni); piena assunzione di responsabilità da parte dei governi dei programmi; coerenza con il rispetto delle raccomandazioni Ue ai paesi; ancoraggio a una regola della spesa pubblica; procedure europee in caso di mancato rispetto degli impegni per superare gli squilibri macroeconomici (strutturali) procedure mai fatte scattare in passato.

Il confronto non è facile: da un lato viene accresciuta in quantità di verifiche e intensità la sorveglianza europea sulle politiche di bilancio, dall’altro lato ci si allontana dalla logica degli automatismi rispetto a parametri fissi (in realtà mai applicati fino in fondo). Non a caso il ministro delle finanze Lindner ha ribadito oggi che “una politica europea comune di stabilità e crescita deve fondarsi su regole comuni identiche per tutti”, che “l’obiettivo deve essere definire un percorso credibile di riduzione del debito” e che la “governance” non può tradursi “in un mero rapporto bilaterale tra Commissione e stati”.

La direzione verso la quale si vuole andare è far tesoro dell’esperienza del Recovery Fund con i vari Pnrr e finanziamenti connessi, per fondare la nuova “governance” economica: massima apertura sulle scelte nazionali di riforma e investimenti nel quadro europeo comune in termini di obiettivi parziali e finali, valutazione sulla realizzazione effettiva. Nel caso del Pnrr rende possibile il versamento delle “tranche”, nel caso della sorveglianza sui bilanci il via libera europeo sulle “policy” fiscali, con un effetto reputazionale positivo. Così si capisce facilmente perché la realizzazione dei Pnrr con il rispetto sostanziale degli impegni (al netto di eventuali limitate correzioni che nella visione di Bruxelles non dovranno riguardare gli impegni di riforma) e le regole di supervisione delle politiche di bilancio non siano temi separati: quanto più si è credibili sul primo si sarà credili nel difficile negoziato sulle seconde.