Preoccupa di più la variante Omicron o l’inflazione al 4,9% a novembre, dopo 4,1% a ottobre nell’area euro? In realtà l’una e l’altra preoccupano, ma i responsabili politici europei e la Bce non ritengono sia arrivato il momento dell’allarme né per gli effetti della prima sull’economia né sul pericolo che la crescita dei prezzi sfugga al controllo. Un secondo interrogativo deriva dall’annuncio del presidente della Federal Reserve Jerome Powell che al Senato americano ha dichiarato: “È il momento di rinunciare all’aggettivo ‘transitoria’ riferito all’inflazione”. Aggettivo che in Europa viene tenuto stretto, invece. Negli Usa il tasso di inflazione era a ottobre al 6,2%, record da 30 anni. Il fatto che la Fed metta sul tavolo l’accelerazione del “tapering” (taglio graduale degli acquisti di titoli su larga scala) indurrà la Bce a seguirne le mosse? I messaggi di ieri e oggi dai “palazzi” della politica europea e della banca centrale, hanno un segno univoco, chiaro: “No panic”. Niente panico. Occorre pazienza per evitare il ritiro prematuro sia del sostegno “fiscale” dell’economia sia del sostegno monetario. Già ieri, a fronte del tasso di inflazione a novembre al 6% in Germania, Isabel Schnabel, che fa parte del “board” Bce ed è tra i papabili per la presidenza della Bundesbank, aveva indicato che “non c’è evidenza che l’inflazione stia andando fuori controllo”. Tanto per dire delle difficoltà in casa, però, il prossimo ministro delle finanze Christian Lindner indicava nelle stesse ore: “L’inflazione suscita legittime preoccupazioni”. In un’intervista a Les Echos apparsa stamattina, il numero 2 della Banca centrale europea Luis de Guindos ha comunque gettato acqua sul fuoco indicando che esiste solo “il rischio che l’inflazione non rallenti così rapidamente e in misura consistente rispetto a quanto previsto”. Ma rallenterà.
Altra spruzzata di relativo ottimismo dal commissario all’economia Paolo Gentiloni, che ha spiegato come la crescita dei prezzi trainata dal caro energia dovrebbe proseguire fino a gennaio compreso. Non è chiaro quando avverrà esattamente, ma si scommette su una discesa ad un certo punto dell’anno prossimo. Nel 2022 “ci aspettiamo una moderazione dei prezzi nel quadro di una crescita economica che continua”, ha detto ieri il presidente dell’Eurogruppo Pascal Donohoe. Niente “stagflazione”, la coppia maledetta alta inflazione/crescita bassa o nulla. E si scommette sul superamento delle strozzature agli approvvigionamenti all’industria europea, parte di un fenomeno globale che ha messo a nudo la vulnerabilità di un modello di produzione generalizzato fondato per decenni sulle scorte tenute al minimo per limitare i costi. Lo scopo dei messaggi rassicuranti è comprensibile: non alimentare l’idea che si sta navigando a vista (anche se questo in buona parte sta accadendo) ed evitare l’errore compiuto all’epoca della crisi finanziaria del decennio scorso quando si commisero errori madornali sia aumentando i tassi sia spingendo i governi a ridurre i deficit troppo presto e troppo rapidamente.
In realtà è possibile che il caro energia ci accompagnerà a lungo anche a causa del passaggio a un’economia decarbonizzata nello spazio di una generazione e mezzo. Ed è possibile che le strozzature nelle catene di approvvigionamento possano durare oltre il 2022 come sostengono diversi esperti e come temono molte imprese. Quanto all’effetto della svolta della Fed, vanno rilevate le differenze fra Usa ed Eurozona. Come hanno messo recentemente in luce gli economisti Daniel Gros e Farzaneh Shamsfakhr, negli ultimi due anni l’inflazione “core” è stata al di sotto del 2% nell’area euro (però al 2% a ottobre e al 2,6% a novembre) e chiaramente sopra il 2% negli Usa. E mentre i salari scendevano al di qua dell’Atlantico, al di là aumentavano al ritmo più veloce dal 2007. A tutt’oggi la Bce non vede segnali di ricarica delle retribuzioni. “La debolezza del mercato del lavoro sta diminuendo, ma le pressioni salariali non hanno ancora iniziato a emergere. La crescita dei salari negoziati rimane contenuta”, ha indicato qualche giorno fa Christine Lagarde.